Recensione: Mortichnia
Il secondo disco dei bresciani Egocide esce per Dusktone a ben sette anni di distanza dal debutto; tempistiche che, al giorno d’oggi, potrebbero affossare ben più di una band. I nostri, comunque, danno alle stampe Mortichnia, che risulta un buon prodotto ma con alcuni difetti che, purtroppo, ne inficiano la qualità. Tagliando subito la testa al toro, i primi tre brani del lotto sono eccellenti: un death thrash roccioso, ignorante e ben fatto, con un groove assassino che dal vivo farà sicuramente sfracelli. Nel momento in cui si pensa di avere per le mani una ghiottoneria però, agli Egocide parte la vena e vengono completamente cambiate le carte in tavola.
Se Behead the Man of God è senza dubbio il miglior brano dell’opera, la seguente Nero Riflesso è di gran lunga il peggiore. L’ottimo death thrash proposto finora lascia spazio a brani più punk e mano articolati, dove gli Egocide si trasformano in una sorta di Cripple Bastards diversamente ficcanti e il cantato in italiano rovina davvero tutto, seguendo pedissequamente i riff di tre note che si ripetono anche nella seguente Tensione Superficiale.
The Leading Path tenta poi di rimettere il tutto in carreggiata anche se il danno è ormai fatto. Anche qui, in ogni caso, vi è poca lucidità nel songwriting: il brano presenta un lunga intro, poi un minuto scarso di cantato e si tronca di colpo sul più bello senza senza dare spiegazioni. Intrusive Thoughts conclude in maniera più inquadrata la tracklist ufficiale e alla fine spunta dal nulla una ghost track zeppa di apprezzamenti coloriti a Cristina d’Avena che sono tutto un programma.
Nulla da dire sulla produzione, che è ottima e valorizza alla perfezione il sound della band.
Il secondo lavoro degli Egocide non è male quindi, ma il voler tenere il piede in due scarpe penalizza la proposta della band, che dovrebbe a questo punto decidere da che parte stare. Noi consigliamo il death thrash, e siamo certi che arriveranno parecchie soddisfazioni.