Recensione: My Passion // Your Pain

Di Matteo Bovio - 21 Maggio 2003 - 0:00
My Passion // Your Pain
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Anno: 2003
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65

Buoni mestieranti o qualcosa di più? Il giudizio finale su questo album si riassume fondamentalmente in questa domanda; perchè su quanto bene sappiano suonare e sulla loro professionalità compositiva nessuno può porre alcun dubbio. Ma quanto queste 10 nuove tracce sanno veramente uscire dagli standard ed andare a toccare qualche corda più nascosta? Preferisco parlare di questo in seguito e descrivere ora quello che potrete sentire in questo My Passion // Your Pain.

La miscela di Death melodico cara agli anni 90 (in particolare alla loro fine) torna per l’ennesima volta ad ossessionarci, ma questa volta con qualcosina di diverso. Non so se si possa definire Thrash, perchè francamente ne mancano l’aggressività e la spigliatezza, sicuramente qualcosa in questa direzione è stato comunque tentato. E stacchi di una buona potenza faranno da presente contorno ai ben più frequenti ripieghi sulla melodia: il tutto rigorosamente in un contesto di suono ultra-pulito e perfettamente bilanciato.

E’ fondamentale per farsi piacere questo cd soffermarsi anche sulla produzione, perchè è proprio grazie a quest’ultima che si possono apprezzare tutte le carte che i Callenish Circle mettono in tavola. Non accontentandosi di ripetere strutture e schemi immediati, i nostri cercano infatti di dare vita a canzoni con strutture ben elaborate, che mostrino una certa progressione continua. E in questo non posso che inchinarmi davanti alla loro maestria, evidente sin dalla primissima “Soul Messiah”; basta soffermarsi un attimo all’assolo ed osservare il tappeto sul quale questo viene costruito, per avere una chiara idea di cosa sia la professionalità a cui prima ho fatto riferimento.

La lunghezza media delle canzoni certo non aiuta molto, visto che oltre a passaggi molto vari dovremo anche memorizzare brani dalla media di 4-5 minuti. E in questo cominciano i primi segni di noia, non tanto per la lunghezza in sè, quanto per l’incapacità in molti frangenti di dare la necessaria vitalità alle canzoni; sinceramente le melodie utilizzate, per quanto buone, non sono il massimo dell’aspettativa (soprattutto in un periodo di saturazione come questo). E lo stesso cantato rimane monocorde su una timbrica così abusata che in questo contesto non migliora certo la situazione.

Dunque ecco che ritorna la fondamentale domanda di cui sopra. In qualità di recensore non posso certo evitare un minimo di giudizio personale di fondo, e quello che devo ammettere è che il lavoro nel suo complesso annoia e fa fatica a farsi apprezzare. Se si eccettua la bella “What Could Have Been…”, non ho trovato niente che mi facesse sinceramente drizzare le orecchie, niente che mi invogliasse di volta in volta a rischiacciare play alla fine dell’album. E la questione non è certo di genere, quanto piuttosto di generale freddezza ed incapacità di uscire da uno schema, solo in parte infranto. Va da sè che agli amanti del Death melodico i Callenish Circle potrebbero avere qualcosa da dire, ma per i più sarebbero parole (o meglio, note) già trite…
Matteo Bovio

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