Recensione: Nature’s Light

Di Roberto Gelmi - 23 Marzo 2021 - 10:41

Tornano i Blackmore’s Night con il loro undicesimo studio album, 46 minuti di musica medievale/folk divisi in 10 tracce, di cui due strumentali e una cover. Dopo il recente EP natalizio Here We Come A-Caroling e l’amarcord hard rock del 2016 che ha visto impegnato in sede live Ritchie Blackmore affiancato da Ronnie Romero, Jens Johansson e Bob Nouveau, l’ex-Deep Purple torna nei panni del menestrello barocco per continuare la sua avventura sonora al seguito della moglie Candice Night.

La cantante inglese afferma che il plot dietro a Nature’s Light «è la storia della natura e del suo essere la vera regina che con magia e semplicità avvera tutti i miracoli che vediamo accadere davanti ai nostri occhi». Temi bucolici in un inno alla natura confezionato a regola d’arte, questo dobbiamo attenderci senza infingimenti dal nuovo full-length, che sfoggia una copertina agli antipodi rispetto a quella di Eclipse degli Amorphis (scusate il paragone esagerato). C’è da dire che non tutte le uscite della band di Blackmore sono memorabili, All Our Yesterdays è un album discreto ma nulla più, l’apice è stato raggiunto con Secret Voyage nel 2008. Vediamo allora se Nature’s Light sarà una via di mezzo oppure stupirà.

Le danze si aprono con “Once Upon December”, ballata dal ritmo compassato e ricca di elementi folkloristici. Il brano non decolla, è prevedibile, ma fortunatamente il disco ha ben altre sorprese in serbo. Consideriamo l’opener dunque come un’introduzione senza pretese, utile semmai per familiarizzarci con il sound dei B’sN. “Four Winds” alza il tiro, ancora latita il rock, ma pian piano il marchio di fabbrica della band s’impone ed entrati nell’ottica medievale tutto acquista senso. Fa centro la movimentata “Feather In The Wind”, classica hit dei nostri, con percussioni onnipresenti e attitudine indiavolata da tafelmusik che si rispetti. Molto gradita la presenza del clavicembalo, che smorza i toni con effetto mirabile, ma è il ritorno del ritmo cadenzato ha lasciare incantati.

Il disco prevede due canzoni strumentali in scaletta. La prima è “Darker Shade Of Black”, tra i momenti più alti del platter (nonché traccia più lunga insieme a quella di chiusura). Chiaro il rimando ai Procul Harum nel titolo, qui parliamo di una composizione ben concepita e arrangiata. L’avvio è qualcosa di prezioso e “fragile”: una semplice linea di basso e note di organo, poi subentra il violino e una percussione in lontananza… Pura poesia, che regala un crescendo degno dei Pär Lindh Project. E che dire della seconda parte del brano? La chitarra di Blackmore dialoga con il clavicembalo e poi si ritaglia un momento solistico da brividi. A contare non è la tecnica esasperata, ma il suo stile inconfondibile, estremamente pulito, con i suoi tipici staccati e abbellimenti. Nella sua essenzialità ci lascia appagati e confortati al contempo, una magia a noi già nota ma sempre nuova. Applausi per Ritchie, li merita tutti a 75 anni compiuti. La seguente “The Twisted Oak” prevede delle parti azzeccate e bucoliche di flauto, la voce di Candice Night è sempre un refrigerio, potrebbe essere l’ugola di una Galadriel del nuovo millennio. I B’sN con poche note riescono a comporre un brano con una certa longevità e un ritornello orecchiabile, semplice, ma non troppo a dirla tutta… E siamo a metà disco. È la volta della title-track “Nature’s Light”. Trattasi di brano in stile Lully, una marcia pomposa e medievale che svela il lato più ambizioso e solare del combo inglese. Ascoltare per credere, è come prendere  la macchina del tempo e ritrovarsi alla corte di re Artù.
Seconda e ultima strumentale, “Der Letzte Musketier” regala nei primi istanti un assolo di Hammond gustoso, poi sfocia in un blues tutto d’assaporare secondo dopo secondo. La classe si spreca, stiamo ascoltando la quintessenza della storia del rock.

L’ultima parte del platter si compone di tre pezzi godibili. Dopo la cover “Wish You Were Here” (pezzo dei Rednex già rivisitata in Shadow of the Moon, ma ora riproposta in una veste più “rifinita”), si torna nel Medioevo con “Going To The Faire”, song che nel finale propone un coretto smielato non proprio imprescindibile.
È “Second Element”, dulcis in fundo, la sorpresa che chiude l’album nel migliore dei modi. Una ballad con un’armonia sorretta da accordi semiacustici di Blackmore che si lancia poi in un altro assolo di chitarra elettrica come solo lui sa fare.

Tirando le somme Nature’s Light vale l’acquisto, è un album con diversi momenti riusciti e convincenti, su tutti “Darker Shade Of Black” e “Second Element”. Riprendendo di nuovo la parole di Candice Night, la musica dei B’s N «è una fuga dallo stress e dalla pressione dei tempi moderni», l’ideale per ritagliarsi un momento di divertimento e rigenerazione. I fan di lungo corso della band inoltre potranno lustrarsi gli occhi grazie all’edizione Mediabook con copertina rigida e doppio CD che include un CD bonus contenente set selezionati dei capolavori della band. Buon ascolto!

 

 

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