Recensione: No Heavy Petting

Di Abbadon - 26 Maggio 2004 - 0:00
No Heavy Petting
Band: UFO
Etichetta:
Genere:
Anno: 1976
Nazione:
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88

Dopo aver pubblicato nello stretto spazio di due anni capolavori come “Phenomenon” e “Force It”, albums che avevano portato Mogg e compagni ad essere uno dei maggiori fenomeni Hard Rock nell’Europa continentale (nonostante loro fossero inglesi), gli Ufo sono attesi, nel 1976, ad un’altra grande riconferma. La band prova a mantenere il suo status rilasciando sui mercati Europei ed Americani il suo quinto album, “No Heavy Petting”.  Stranamente all’epoca, nonostante a posteri questo lavoro sia stato completamente rivalutato da critica e pubblico, No Heavy non fu affatto apprezzato, risultando un fiasco dal punto di vista delle vendite (la cosa avrebbe lasciato il segno e lanciato un cambiamento di stile che porterà gli Ufo, col successivo Lights Out, ad essere nel complesso più melodici). Nonostante la sfortuna che ha avuto no Heavy, tra l’altro album innovativo come fra poco vedremo, io non riesco a parlarne male, perché secondo me quell’insuccesso, relativamente al prodotto che ci troviamo di fronte, è clamorosamente ingiusto. Infatti, seppur questo sia forse il lavoro degli Ufo (intendo quelli veramente gloriosi, quelli che vanno dal 74 al 78) che meno mi piace fra quelli “storici”, non posso (e non voglio) non ammettere che ci troviamo davanti ad un opera, come sempre, splendida. Le linee musicali sono le medesime di Phenomenon e Force It, con però in aggiunta un maggiore  spessore melodico, dato dal nuovo membro del gruppo (che quindi da quartetto diventava quintetto) Danny Peyronel, collocato in maniera fissa alle tastiere in primis per evitare che esse saltassero durante i concerti dal vivo (essendo 3 musicisti impegnati e non potendo badarci sempre Mogg), in secondo luogo per stabilizzare un ruolo che da sempre era girato, a volte scomodamente, fra i quattro membri “storici”. Peyronel, buonissimo esecutore e compositore ispirato, durerà solo quest’album, sostituito da Paul Raymond, forse ancora più tecnico e sicuramente più dotato dal punto di vista del sentimento e della presenza scenica; non va però negato , a Danny, di aver dato spessore, con le sue keyboards, a tutto un prodotto che sarebbe già stato ottimo così (tante canzoni vedono il suo marchio inciso a fuoco, come andremo a vedere). Detto di Peyronel, sorvolo brevemente sulle prove degli altri strumentisti, che si confermano più o meno sul solito livello tecnico ed esecutivo.  Inutile parlare di Michael Schenker, come al solito vero e proprio mattatore della 6 corde, capace di passare in quattro e quattr’otto, con la sua follia, da riff cattivi a trame dolcissime, inutile parlare del dinamismo di Pete Way (anche se qui siamo a livelli inferiori rispetto a quelli magistrali del precedente lavoro), inutile parlare di un Andy Parker come al solito puntuale a timbrare il biglietto, mai in modo esagerato (come mai sarà) ma nemmeno mai sotto le righe. Sorvoliamo pure su Mogg, che come sempre canta alla sua maniera, mai pulita o splendente, ma sicuramente con decisione ed efficacia, e passiamo allora al punto di vista compositivo. No Heavy Petting splende sulle masse anche da questo punto di vista, in quanto la più grande arma degli Ufo, ovvero l’affiatamento, viene anche qui utilizzato. Quasi ogni song viene scritta da tutti i membri della band, ispirati come al solito dal duo principe Schenker/Mogg , membri che intrecciano alla perfezione le loro trame, con risultati di spessore. Le nove canzoni sono varie e ricoprono quasi tutte le tipologie di song, vi è però, a mio avviso, una maggiore altalenanza qualitativa fra i vari pezzi (forse il vero motivo per cui No heavy mi piace meno rispetto ad altre produzioni della navicella), cosa che non accadeva, non in modo così marcato, in platter di granitica omogeinità come i due precedenti. Nulla di cui disperarsi comunque, anche perché visto cosa ci troviamo davanti saremmo dei pazzi a lamentarci; addentriamoci dunque nei dettagli. L’opener è “No Heavy Petting”, un cavallo di battaglia della navicella e unico pezzo del disco che riuscì a sfondare per davvero fra i vari pareri critici (e mi sembra il minimo in quanto in scioltezza uno dei migliori pezzi “duri” degli Ufo). Trattasi di un mid tempo dal riff a dir poco spettacolare, che trasporta l’ascoltatore come solo una mareggiata saprebbe fare. Viene sicuramente mostrato il lato più duro della Flying V del buon Michael, qui come altrove mattatore assoluto, supportato in un più che coinvolgente ritornello dai suoi compagni, tastierista e batterista in primis. Solo normali Phil e Pete, che avranno occasione di mostrarsi più avanti, anzi fin dalla successiva “I’m a Loser”. La track, anch’essa un classico e un mid tempo, è caratterizzata da un inizio lento e romantico trainato dalla chitarra acustica, supportata alla perfezione da piano e basso. Per il resto si ha un piacevole altalenare fra parti dotate di poca sonorità e molto sentimento (soprattutto le strofe) a parti decisamente più catchy, che irrompono con l’indurirsi della batteria. Bene il vocalist, così così i ritornelli, molto bene l’assolo e, ancora, l’apporto sullo sfondo del piano, che conferisce una nuova dimensione rispetto al passato. Incremento di brio e di velocità con la divertentissima “Can You Roll Her”. Un incazzato ma efficace Mogg è l’artista più in vista del brano, povero di melodia ma da far saltare sulla sedia come pochi. Validissimo l’intermezzo batteristico che precede un ancora più scatenato assolo, fra i più pirotecnici eppure puliti mai regalati dal genio teutonico di MS. E che dire di “Belladonna” se non che è uno dei pezzi più dolci che mi sia capitato di sentire. Trattasi di uno splendido arpeggio, condito da tanti piccoli ingredienti ed effetti sonori che portano l’atmosfera a mille. Non vi sono mai cali di tensione, e si sublima verso la fine del tratto centrale,  quando il cambio di tonalità della 6 corde e l’assolo fanno venire le lacrime agli occhi. Voi direte che sembro un controsenso : fino a 15 righe sopra dicevo che c’erano salti qualitativi e ora parlo di canzoni una più bella dell’altra. Aspettate, il netto calo arriva qui, con la quinta “Reasons Love”. Seppur discreto infatti, questo pezzo non riesco proprio a farmelo piacere, in nessun modo. Il riff è caruccio e dinamico ma alla lunga mi stanca in quanto davvero troppo ripetitivo, Mogg canta combinato alle backing vocals, buon stratagemma per cambiare, ma che poteva essere fatto meglio. Boh non ho molto alto da dire per questo filler, di buon livello è vero, ma comunque filler. Decisa ripresa con “Highway Lady”, canzone sublime quanto spettacolare e figlia di Peyronel, essendo sua composizione (la prima di due) personale. Personalmente, come da titolo, Highway  mi ricorda proprio una scanzonata corsa in autostrada, una tipica canzone da macchina. Tutti gli strumenti sono nel pieno della loro briosità, soprattutto la tastiera, a livelli di twist. Non mancano all’appello chitarra, voce e basso, un po sottotono la batteria, che comunque non riesce minimamente ad intaccare il carisma di questo splendido pezzo, imbruttito forse un pò a causa in un ritornello fatto un po’ male. Nessun problema comunque, accontentiamoci, visto che la successiva “On with the Action” non è sempre ai massimi livelli. Se infatti in alcuni tratti, specie quelli midtempati, la song si difende bene, in altri, quelli lenti, risulta piuttosto ovattata e scarna. Ennesimo mid tempo quello che caratterizza “A fool in love”, che nonostante la relativa lentezza è piuttosto incalzante e capace di far alzare dalla sedia per un rapido intermezzo di balletto. Il ruolo principale è la voce, supportata quasi solo dalla batteria nelle strofe, per poi essere raggiunta da tutti poco prima del ritornello e nel refrain stesso, davvero carino. Nulla di che l’assolo, corto e nonostante la perfetta esecuzione quasi anonimo. La chiusura è, come nelle migliori tradizioni, in grande stile, con la stupefacente “Martian Landscape”, la seconda delle creazioni di Danny. L’atmosfera iniziale è da brividi, brividi che gli Ufo sanno regalare con piacevole frequenza. Il lento, che ogni tanto subisce improvvise accelerazioni, è molto malinconico, triste e rimembra cose lontani. Impossibile non “pizzare” un accendino e agitarlo in aria, soprattutto quando irrompe la seconda parte, caratterizzata dal miglior Phil Mogg di tutto il platter. Su queste tristi note, che denotano ancora una volta la classe della band, “No Heavy Petting” si chiude, lasciando probabilmente un segno nell’ascoltatore. Come detto è il lavoro che mi piace di meno tra quelli “storici” della band, tuttavia sarebbe da pazzi non sentirlo, per gli amanti dell’Hard reputo quest’ascolto un impegno inderogabile e…. altro che disco fiasco come dicevano nel 76, quelle sono tutte balle.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Natural Thing
2) I’m a Loser
3) Can you Roll her
4) Belladonna
5) Reasons Love
6) Highway Lady
7) On with the Action
8) A fool in Love
9) Martian Landscape

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