Recensione: Only Passing Through

Di Roberto Gelmi - 16 Aprile 2022 - 11:51

Nuovo studio album per la versione parallela degli Spock’s Beard capitanata da Ted Leonard. Anno dopo anno i PSA sono cresciuti in termini di visibilità e, mantenendo una buona qualità compositiva, arrivano al nuovo disco d’inediti con immutata voglia di stupire e divertirsi. L’artwork è l’ennesimo centro, oscuro e invitante allo stesso tempo, conferisce il giusto appeal al platter che si presenta appetitoso per tutti i progster.

I due minuti di “Everdark Mountain” ci immergono subito nel sound del combo americano. Rimandi settantiani, con un retrogusto folk, e la voce cristallina di Ted Leonard a conferire potenza e pulizia al tutto. Forse non un opener stellare, ma il disco impiega un po’ di tempo per raggiungere le sue vette emozionali. “I Can’t Stay Here Anymore” alza decisamente il livello, è un brano più articolato, con alcune trovate interessanti e un ritornello facilmente memorizzabile (non ha caso è il brano con più visualizzazioni su Spotify). A metà del quarto minuto, ad esempio, le parti di sintetizzatore dialogano con la parte ritmica in modo incisivo e sinergico. Segue “Time Has a Way”, quasi 15 minuti di follia progressive. L’avvio è degno dei migliori The Flower Kings, le parti di basso di Dave Meros richiamano l’estro di Chris Squire e tutto funziona a meraviglia: 4 minuti strumentali da ricordare. La sezione lenta nella seconda parte del brano permette al sound di rifiatare e risorgere dalle sue ceneri con gradualità. Le linee vocali di Leonard a tratti richiamano la sua prova in Jesus Christ The Exorcist di Neal Morse. Interessanti anche le note di tromba nel finale.

Rock Paper Scissors” vive di sonorità vagamente orientali ed è senza dubbio una ballad raffinata e rifinita. Il refrain con tanto di seconde voci femminili cullanti è tra i migliori in scaletta. “Much Ado” e “Only Passing Through” hanno curiosamente lo stesso minutaggio, sono entrambe song brevi ma con qualche sorpresa: nella prima è contenuto un assolo spigoloso (omaggio a Steve Howe), nella title-track invece tutto scorre in modo fin troppo elementare.

E siamo arrivati alle ultime due tracce. “Said the Stranger” è un bolero ipnotico che strizza l’occhio al The Alan Parsons Project e richiede una certa resistenza arrivare fino in fondo al pezzo. “Here with You with Me” contiene più divertimento, rimandi agli onnipresenti Yes e l’intento di chiudere il disco on a high note. Il compito spetta alle chitarre di Leonard che riesce nella bisogna in modo egregio. Per aggiungere altra carne al fuoco seguono due bonus track da non trascurare nella loro immediatezza spensierata. “I’m Not Alright” e “Just Another Day at the Beach” sono pezzi ritmati e con arrangiamenti ben concepiti, si ascoltano con piacere.

Insomma, anche il terzo tassello della discografia dei Pattern Seeking Animals convince, senza però stupire. La band nata dalla costola degli Spock’s Beard per ora conferma la propria ragion d’essere, speriamo che la band madre torni anch’essa sulle scene con un nuovo platter, Noise Floor risale ormai al 2018…

 

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