Recensione: Out of Connection

Di Daniele D'Adamo - 11 Aprile 2021 - 11:10
Out of Connection
Band: SinHeresY
Etichetta: Scarlet Records
Genere: Modern Metal 
Anno: 2019
Nazione:
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86

“Out of Connection” è il terzo pargolo della famiglia SinHeresY, gruppo la cui base, sin dalla sua nascita (2009), è in quel di Trieste. Fra demo, EP, singolo ed LP, il carniere discografico mostra di essere piuttosto abbondante; tenuto conto della endemica difficoltà, in Italia, di emergere da un Paese la cui tradizione popolare non è certo imperniata sul metal.

Fra le pressoché infinite definizioni che gravitano attorno al genere suddetto, attività che spesso induce in equivoci ed errori e della quale si potrebbe fare benissimo a meno ma che, di contro, può aiutare a rendere l’idea di cosa suoni una determinata band, la propensione è per una forma assai moderna di heavy. La quale, abilmente mischiata con metalcore (‘Facts, Words, Sand, Stone’) ed electronic music (‘Break the Surface’), conduce a un manufatto la cui appartenenza logica è al cosiddetto modern metal (‘What Makes Us Human’).

Detto questo non si può non apprezzare la freschezza di un sound perfettamente messo a punto, pulito, fresco, scoppiettante, potente e, ultimo ma non ultimo, totalmente professionale. “Out of Connection”, difatti, è un prodotto fatto e finito. Perfetto sia nell’esecuzione dei singoli musicisti, sia nella maturazione di un modus compositivo ormai adulto. Perfettamente plasmato attorno alla splendida voce di Cecilia Petrini, grande talento tutto italiano, la cui interpretazione delle linee vocali è scevra di difetti in ogni istante del disco, con picchi di bravura assoluta (‘Absolution’). Talentuosa nel muoversi con carattere sia negli episodi più movimentati, sia in quelli più introspettivi, con l’eccellenza di ‘Shallow’ eseguita al solo pianoforte, purtroppo presente soltanto nell’edizione giapponese.

Accanto a lei c’è Stefano Sain, per duettare spesso e volentieri al fine di movimentare ulteriormente una sezione vocale di per sé già ben corposa con la sola presenza della Petrini. Anche in questo caso si tratta di un elevato livello tecnico/artistico, in linea con il trend qualitativo del gruppo friulano.

Le voci, insomma, costituiscono la prima peculiarità di uno stile maturo, al cui percezione rimanda immediatamente a chi lo ha creato. Per cui, di conseguenza, Lorenzo Pasutto (chitarra) e Davide Sportiello (basso, tastiere) appaiono un po’ nascosti. Il che non significa che non operino anch’essi con serietà e competenza. Anzi, grazie al loro apporto rigorosamente accademico, il suono che esce fuori dagli speaker si può affermare senza ombra di dubbio che sia perfetto, anche osservato o meglio ascoltato con attenzione a 360°.

Detto questo, si può finalmente citare la vera indole spettacolare che connota i SinHeresY come uno degli apici del metallo nostrano: le canzoni. Più su si è già accennato alla composizione ma occorre rilevare, inoltre, che il livello della composizione medesima è davvero eccezionale. Da ‘What Makes Us Human’ a ‘The Circle’ si dipana un viaggio che si compie lungo un dorato sentiero, che i Nostri percorrono senza esitazioni, dubbi o tentennamenti di sorta. La forma-canzone è quella classica del rock, pertanto la concentrazione si è incanalata, almeno a parere di chi scrive, sull’ideazione di melodie straordinarie. Che, rarità in un panorama a volte piatto, non calano mai d’intensità emotiva lungo gli oltre quaranta minuti di durata del platter. I brani si susseguono incentrati su ritornelli uno più clamoroso dell’altro, con una continuità impressionante. Con che la voglia di girare l’angolo per gustare la traccia seguente a quella che si sta assaporando è sempre tanta e, fattore importante, non viene mai delusa da episodi fiacchi o, peggio, meri riempitivi per arrivare alla consistenza di un full-length.

Merita un discorso a parte ‘Immortals’, impressionate hit dal valore potenziale immenso. In essa, tutto è al punto giusto per scoppiare in testa. Con la forza di un refrain clamoroso, che si schianta sulla parete interna della scatola cranica a mò di tatuaggio per non uscirne mai più. Azzeccatissimo anche il break centrale, che non fa altro che aumentare la spinta accattivante di un brano memorabile.

A questo punto, stringendo le somme, viene spontaneo chiedersi come sia possibile che un realtà come i SinHeresY abbiano difficoltà a esplodere nel mercato internazionale. Domanda che ha una sola risposta. Il vivere in una periferia del mercato stesso: l’Italia.

Comunque, con una classe simile, la Petrini e i suoi compagni di avventura non devono mollare mai l’osso e proseguire per la propria via maestra. I risultati, certamente, arriveranno. “Out of Connection”, in maniera inequivocabile, lo dimostra.

Daniele “dani66” D’Adamo

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