Recensione: Paint The Sky With Blood [EP]

Di Pasquale Ninni e Leonardo Ascatigno - 28 Aprile 2021 - 11:50
Paint The Sky With Blood [EP]
Etichetta: Napalm Records
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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78

Questa non è soltanto una storia di musica, di cambiamenti, di mitizzazione e genere ma la sceneggiatura pronta, ma subito soffocata, di una potenziale produzione cinematografica da Oscar tra talento, passato trionfale clamoroso, storie stordenti, coraggio, tributo e finale che probabilmente scuote, sconvolge, esalta.

È sufficiente citare un nome, Alexi Laiho, per innescare un brivido tra gli appassionati di vecchia e nuova militanza, un fremito che genera sinapsi affettivi verso questo estro della musica che con i suoi lavori ha messo a dura prova arterie e apparati vari dei propri fan.

Purtroppo la prematura dipartita di Laiho ci ha privato di un attore protagonista in grado di generare grandi opere e, a mo’ di testamento musicale, ha lasciato nel mondo della musica un piccolissimo capolavoro, per numero di brani in quanto non completo, intitolato Paint The Sky With Blood. Fuoriuscito dai Children Of Bodom fonda i Bodom After Midnight e di questo nuovo progetto ci rimangono tre bellissime tracce (due inediti e una cover) destinate e scrivere un po’ di storia del genere.

Questo lavoro si colloca, in quanto incompiuto, in una terra di nessuno, in una dimensione desolata dove prevale un triste rammarico se solo si pensasse agli sviluppi che il progetto avrebbe potuto avere. Certo, Alexi Laiho esce da un perimetro musicale per entrare in un altro sovrascrivibile al primo, ma non per questo non privo di quella sua personalità, violenza, potenza, rara alchimia che lo hanno reso celebre. Come un militare carica le sue armi migliori, chitarra e voce, arma la sua truppa, composta da Daniel Freyberg (chitarra), Mitja Toivonen (basso), Vili Itäpelto (tastiere) e Waltteri Väyrynen (batteria), e dà il via per scaricare una furia sonora in grado di deliziare l’ascoltatore.

La sua voce risulta essere come al solito potente, brillante e melodica, il livello chitarristico è il solito al quale ci ha abituato e tutto questo si fonde con il grande livello dei restanti musicisti. Paint The Sky With Blood rappresenta l’inizio di una nuova saga che però è destinata purtroppo a rimanere incompiuta. L’attacco del disco, ipnotico e adrenalinico e che da subito chiarisce cosa ci si prepara ad ascoltare, diventa stordente e magicamente da assuefazione; difficile resistere alla tentazione di riascoltarlo per riavere una piacevole e vitale scossa.

Tutto si sussegue velocissimo e ben distinto, le parti si fondono e si succedono in una sequenza che si desideri non conosca fine e che potrebbe sfociare nel morboso. Impossibile non ammirare il modo dei Bodom After Midnight di approcciarsi alla musica, la loro insostenibile leggerezza dell’essere che in pochi minuti li ha portati a scalare i gradini di un lavoro, in proiezione, senza confini, tutt’altro che semplice anche se fa della semplicità di arrivo nel profondo dell’anima uno stile.

Tre brani, solo tre brani, con tutto il portato misterioso e simbolico che questo numero è in grado di evocare; tre è un numero “difettivo”, “perfetto totiente”, “di Ulam”, “triangolare” e tanto altro, ma soprattutto, in matematica, è un numero “fortunato”, “idoneo” e “malvagio” e Paint The Sky With Blood si ritrova magicamente e perfettamente in questi tre termini.

Già dal primo brano, Paint The Sky With Blood, si comprende benissimo il livello del lavoro, i richiami Black si sveleranno e si spiegheranno, in un tripudio di meraviglia, soltanto nel finale quando suoneranno Where Dead Angels Lie, la stupenda cover dei Dissection. Incredibile come questa cover trovi dignità e amalgama tra le altre due canzoni; il tributo a una band, tra le più alte espressioni del Black Metal, e al suo leader Jon Nödtveidt, tra i titani del genere, che suona in maniera magistrale, fino ad ammaliare chi ascolta.

Il brano iniziale suona “moderno”, ma dall’ascolto emerge qualcosa di atavico, che affonda e artiglia le radici nei primi capolavori dei Children Of Bodom. Paint the Sky with Blood è da subito un pugno in pieno stomaco, al limite del black nello start dopo i break. La voce di Alexi Laiho è inconfondibile e rende tutto, come accennato, molto familiare. Il suo cantato distorto, soprattutto nei verse (si ascolti la seconda song), è quanto mai efficace per trasferire l’ascoltatore in un’altra dimensione e la sua versatilità vocale è davvero un valore aggiunto a tutto il brano; questo non lo si scopre ovviamente soltanto adesso.

La produzione è gonfia e potente, le chitarre sono molto presenti nello spettro e soprattutto la loro ambientazione all’interno del mix è un punto di forza in questo EP. Le ritmiche sono davvero interessanti (per quanto riguarda il wall of sound), così cariche di bassi e allo stesso tempo molto definite, ma sicuramente meno secche se prendessimo come esempio la discografia dei Children Of Bodom. Il mixing a questo punto potrebbe risultare un po’ sbilanciato a favore delle stesse chitarre, ma d’altronde si parla di un EP che sa di rivolta.

Il sound nel complesso non si discosta ovviamente dai Children Of Bodom, in fondo sarebbe stato da stolti aspettarsi qualcos’altro. Tuttavia una piccola ventata di freschezza la di può assaporare. La prima sensazione è che tutti i musicisti siano forse più agguerriti che mai: alle chitarre Daniel Freyberg e lo stesso Laiho sono in simbiosi perfetta, senza strafare in un EP che non arriverà nemmeno a 15 minuti di musica. Musica di chi si è rimesso in gioco, per l’ennesima volta, e ha voglia di dimostrare al mondo di cosa è capace. Non si sta parlando ovviamente di una one-man bad, questo sia chiaro, ma è innegabile che il carisma di Laiho risulti anche involontariamente in primo piano e di un carattere alquanto smisurato. I cori nel finale (marchio di fabbrica dell’ormai compianto leader) rendono degna chiusura a questa traccia.

Un respiro affannoso di pochissimi secondi viene spazzato via dalla violenza sonora con l’attacco di Payback’s A Bitch. Brano incentrato sul groove con un riff davvero spaccaossa e da una strofa Tupa-tupa che non può lasciare indifferenti. I temi che si susseguono tra i due verse sono davvero ispirati e il chorus vede l’ugola di Laihlo in gran spolvero. Gli incastri simil prog prima della parte strumentale e le sfuriate soliste dei due axe men sono davvero d’altri tempi. La band suona alla grande insomma, complice il fatto che c’è stato un grande periodo di rodaggio alle spalle. Purtroppo questo dettaglio passerà sicuramente in secondo piano e il perché è alquanto scontato (giustamente) se pensiamo al livello artistico e storico del leader del progetto.

Il violento e preciso drumming di Waltteri Väyrynen (Paradise Lost) è anch’esso messo in luce dalla produzione e il lavoro alle tastiere di Vili Itäpelto è sicuramente meno invadente di quanto ascoltato con i vecchi compagni di viaggio. Questo è un bene per certi versi, le song nascono per avere un impatto nel loro insieme, non per esaltare virtuosismi solistici.

Poco percepibile purtroppo al primo ascolto il lavoro al basso di Mitja Toivonen (ex Santa Cruz), ma davanti a un mix così gremito è d’obbligo prestare più attenzione agli ascolti successivi.

Si giunge subito al capolinea e qui, come anticipato in apertura, vi è la sorpresa più grande di questo trittico. Where Dead Angels Lie sta per iniziare e alle prime note, per i nostalgici, può già scapparci una prima lacrima. Siamo davanti ad una riproposizione di un classico dei Dissection (e del Metal tutto) di prim’ordine, un capolavoro ineguagliato nel suo genere. Qui non possiamo fare altro che notare da subito una compattezza e una coerenza col resto dei brani davvero inimmaginabile; questa canzone sembra scritta solo ieri e proprio per questa occasione. Alexi Laiho si cala nei panni di Jon Nödtveidt (un genio che rende omaggio ad un altro genio) e accompagnato dai suoi fidi sforna una delle cover più riuscite della storia del Metal: sound, tecnica, groove, atmosfere, suspence e chi più ne ha più ne metta. La contestualizzazione sonora e il modo in cui i Bodom After Midnight siano “entrati” nel pezzo non è di certo da sottovalutare. Irrompere nel mondo metal nel 2021 con questa take è sinonimo di sfida, ma allo stesso tempo di presa di coscienza delle proprie capacità artistiche e tecniche. Un po’ ricalca quanto fatto da Chuck Schuldiner e soci, anche se di certo non con lo stesso strabiliante risultato, alle prese molti anni fa col classico dei classici: Painkiller (da The Sound of Perseverance del ’98). La ex band di Laiho negli anni ci ha abituati di volta in volta a reinterpretazioni più o meno felici di classici di Iron Maiden, Slayer, W.A.S.P e altri, ma qui siamo ben oltre l’ordinario. La scelta del brano giusto è praticamente tutto (e questo Where Dead Angels Lie lo è senza ombra di dubbio) e lascia intendere uno studio che va oltre le singole note.

L’uso delle tastiere, come già detto, non è affatto invadente, ma conferisce corpo e atmosfere alla song. Tutto è dove dovrebbe essere, per non parlare del break soft (stesse dinamiche dell’originale, a testimoniare l’elevatissimo senso musicale e tecnico dei musicisti qui presenti, il rispetto dell’opera prima di tutto) e degli arpeggi distorti targati Nödtveidt che hanno fatto scuola.

C’è anche spazio per un paio di armonici artificiali prima della reprise, un tocco di personalità (quel minimo che serve ad impreziosire un brano così magico e unico) non guasta in questa occasione.

Nemmeno 15 minuti di musica, come si è scritto, ma un grande lascito. Giusto per citare una definizione nella bio targata Nuclear Blast Paint The Sky With Blood è un travolgente tributo a un artista eccezionale (Alexi Laiho) e allo stesso tempo, un moderno omaggio al genere stesso”.

Impossibile dargli torto.

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