Recensione: Point Of Infinity
Attivi da ben tredici anni, gli olandesi Obsidian ce ne hanno messo, di tempo, per arrivare a incidere un full-length con una label come la Candlelight Records. “Point Of Infinity”, infatti, è preceduto, soltanto, da due demo (“Obsidian”, 2001 e “Demo 2003”, 2003) e da un album autoprodotto (“Emerging”, 2006).
Leggendo l’info-sheet allegata al promo del disco si scopre che, fondamentalmente, è stata l’instabilità della line-up a non consentire una produzione discografica più continua e organica. Che, in virtù sia dello stile sostanzialmente unico, sia dell’indubbia preparazione tecnica dei ragazzi residenti ad Amsterdam, sarebbe stata alla loro portata in modo più congruo.
Si scriveva dello stile.
La base è inequivocabilmente costruita con il death. Di quello feroce, aggressivo, determinato. Su di essa, è stata edificata una struttura assai articolata, contaminata da diversi generi; marcatamente complessa e finemente evoluta nelle forme. Se s’indica il prog, ma anche il prog rock, come fonte primaria di avanzamento, non si sbaglia di molto. Del resto, la Storia insegna che spesso e volentieri è proprio dal death che si passa a fogge ibride death/prog per giungere definitivamente al prog. Gli Obsidian, in ciò, allora, non fanno nulla di nuovo. Tuttavia, più di un’armonizzazione (“Spectral Pathways”, per esempio) traccia i lineamenti di un volto non comune, rappresentativo, appunto, di uno stile molto personale; come peraltro più sopra già evidenziato.
A parte le digressioni in direzione di tipologie extra-death, i Nostri hanno la qualità di saper efficacemente coniugare momenti di furia cieca (“Illuminate”: una mazzata in faccia) a istanti di vero approfondimento, di fine introspezione (“Tidal Waves”, lenta, sinuosa e potente). Il sound è così imprevedibile, vario. Forse, sin troppo, vario.
Comunque sia, da apprezzare il disperato scream/growl di Robbe K, potente e spesso, che interpreta con sentimento le linee vocali di propria competenza. Un po’ meno consistente, a parer mio, il guitarwork. Simon Lawford e Sjaak Kassies non credo si possa metterli in discussione nemmeno per un attimo, data la tecnica e la fantasia nei ricami da essi posseduta. Tuttavia, l’immensità del rifferama, se da un lato giova alla longevità del lavoro, dall’altro può essere interpretato come eccessivamente dispersivo. Tale aspetto, chiaramente, emerge immediatamente sin dai primi ascolti del disco; procedendo però con gli ascolti, la percezione della mancanza di continuità artistica non scompare del tutto. Sì, ci si raccapezza sempre meglio, ma alla fine rimane un indefinibile senso d’incompiutezza. Nulla da dire su Gerben van der Bij e Melle Kramer, i quali alimentano il moto propulsivo in maniera del tutto professionale e … asettica.
Dalle considerazioni sopra esposte, non può che discendere un’analoga lettura: le canzoni paiono essere sfilacciate, intrappolate nella loro stessa natura poliedrica. Chiaramente il quintetto, fra i vari obiettivi che si prefigge, non cerca la melodia né tantomeno la facile presa. Anzi, occorre molta pazienza per riuscire a districarsi dall’impenetrabile ginepraio che metaforicamente avvolge l’ascoltatore. Alcune song sono «potabili», come “Point Of Infinity”, apprezzabile per la sua dolce visionarietà; altre davvero ardue da decifrare e memorizzare, come l’aspra e dissonante – nonostante il buon refrain – “Breach” o la stessa “Tidal Waves”.
L’eclettismo di “Point Of Infinity”, evidente quindi sia nel sound, sia nelle composizioni, non può passare inosservato: o si ama, o si odia. Difficile pensare a una mezza misura, per l’opera degli Obsidian. A patto di non doverlo fare per esprimere, alla fine, un sintetico giudizio numerico.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Track-list:
1. Illuminate 4:44
2. Breach 3:52
3. Tidal Waves 6:02
4. Radiating Light 5:51
5. Desolate Rage 5:01
6. The Upward Spiral 2:56
7. Point Of Infinity 5:16
8. Incinerate 3:50
9. Spectral Pathways 7:10
Line-up:
Robbe K – Vocals
Simon Lawford – Guitar/Vox
Sjaak Kassies – Guitar/Vox
Gerben van der Bij – Bass
Melle Kramer – Drums