Recensione: Prokopton

Di Daniele D'Adamo - 26 Marzo 2019 - 17:13
Prokopton
Band: Aephanemer
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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72

Fondati a Tolosa nel 2014 come one-man band di proprietà del mastermind Martin Hamiche, gli Aephanemer si sono trasformati in gruppo vero e proprio subito dopo la pubblicazione del debut-EP “Know Thyself” (2014), frutto di un ottimo successo a livello underground. Da allora, sono seguiti il debut-album “Memento Mori” (2016), il singolo “Path of the Wolf” (2017) e, quindi, il secondo full-length, “Prokopton (2019).

Gli Aephanemer propongono un genere che, agli esordi, ha fatto storcere il naso ai puristi per via delle pesanti contaminazioni di musica classica: il symphonic death metal. Un genere che, invece, via via è progredito sin quasi a soppiantare il melodic death metal. Un’evoluzione inaspettata che gli ha dato dignità di figlio legittimo del death metal stesso, inteso, quest’ultimo, nell’accezione più ampia del termine.

E non poteva che essere altrimenti poiché, come nel caso dei Nostri, il sound messo giù è dotato di una potenza stratosferica, pieno zeppo di note all’inverosimile, a tratti aggressivo sino a mordere il confine dei blast-beast, guidato da linee vocali in growling e, anche, a volte, in screaming.

Anche il mood resta spesso allineato alle visioni funeree del death metal, come nel caso dei quartetto transalpino che dà luogo a sensazioni buie e oscuri, sprigionanti glaciali allucinazioni di stampo medievale – come suggeriscono le sempiterne aggiunte sinfoniche. Cioè, dell’era più cruda e violenta della storia dell’Uomo.     

Oltre a tutto questo, ciò che colpisce è la veemenza posseduta dagli otto episodi che compongono il disco. Le furibonde orchestrazioni che lo inzuppano sino quasi a saturarlo, generano un sound possente, magnifico, gigantesco. Per nulla destinato ad accarezzare con leggiadria le orecchie dell’ascoltatore. Anzi travolto da una quantità di musica enorme, capace di saturare l’etere con le idrofobe sferzate delle due chitarre di Marion Bascoul e Martin Hamiche (‘Dissonance Within’). La prima anche vocalist cattiva e feroce, il cui timbro ma soprattutto la cui rabbia rendono praticamente impossibile distinguerla dai più bellicosi colleghi maschi che girano nell’ambiente.

Così, l’ossimoro musica/voce è servito sul piatto. Musica fondamentalmente melodica, armonica e orecchiabile, a tratti addirittura accattivante (‘The Sovereign’), travolta dalla ferocia di linee vocali tanto efferate quanto inarrestabili.

Si tratta, quindi, di symphonic death metal molto elaborato e per lunghi segmenti anche raffinato (incipit e break centrale di ‘Snowblind’), tuttavia ben saldo sull’impianto di base del death metal di partenza. Come dimostra l’appena citata ‘Snowblind’, dall’ampia aria sinfonica ma, come nel resto del platter, condotta senza paura e con decisione per mano dell’ugola sanguinolenta della Bascoul.

Il che, come più sopra accennato, è un po’ il leitmotiv di “Prokopton”, esercizio compositivo che i deboli di cuori devono accuratamente evitare per la sanità del loro apparato circolatorio. Con questo, emerge anche il discreto talento insito nel songwriting degli Aephanemer, in grado di elaborare song dotate, ciascuna, di vita propria, senza che il loro susseguirsi presenti buchi o cali di tensione; tutte allineate e fedeli alla linea stilistica tracciata sulla pista in terra battuta dall’ensemble francese.

In mezzo a tanti pregi, un difetto c’è: qualcosa di indefinibile, che si sommi a quanto realizzato, in grado di fornire la spinta per emergere dal mare costituito dal mercato discografico professionale attuale. Il famigerato quid in più che, purtroppo, non pare essere presente in un’opera comunque meritevole di attenzione per via, in ogni caso, di tanta, tanta buona musica da ascoltare a pieno volume.

Daniele “dani66” D’Adamo

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