Recensione: Prophetic Blasphemy

Di Daniele D'Adamo - 12 Agosto 2022 - 0:00
Prophetic Blasphemy
78

Deathcore. Da sempre ai margini dell’ortodossia metallica non si sa bene per quale fondato motivo, ha cominciato a essere accettato come branchia del metal grazie a band straordinarie fra le quali, una su tutte, i tedeschi Heaven Shall Burn.

Ora, senza voler esagerare, chi pratica detto genere ha sì, un look lontano anni luce da quello classico (è importante?, NdR) ma pesta come un dannato liberando una potenza molto, molto più elevata di quella del metal ortodosso. Dal true metal, per intendersi.

Ne sono un esempio i danesi Hanging The Nihilist, terrificante creatura che giunge al traguardo del debut-album con “Prophetic Blasphemy”. Terrificante? Sì, certo. Il sound eruttato è difatti mostruosamente potente. Come un botto termonucleare. Come una spaventosa mazzata sui denti. Metallo fuso. Metallo lucido. Metallo tagliente come la lama di un bisturi.

Devastazione frutto di un’esecuzione pressoché perfetta, che manifesta una preparazione tecnica di livello professionale. Perché per essere reso ai massimi livelli tecnico/artistico, il deathcore esige di essere manovrato da musicisti di primo piano. È talmente tanta la pulizia del suono che anche il minimo errore, il più piccolo neo, salterebbe subito all’occhio. Anche e soprattutto in sede live. Cosa che non accade.

Benché si siano formati soltanto nel 2016 e che abbiano all’attivo un solo EP, oltre al full-length in esame, il sestetto di Copenhagen dà mostra di una grande perizia nell’elaborare uno stile già irreprensibilmente formato. Adulto. Maturo. Stile che, grazie all’opera alle tastiere di Berna Baki, presenta una profondità abissale, stratificato in maniera ideale per la bisogna. Assai ricco di emotività, di atmosfera. Con un cuore che pulsa a tratti lentamente, in occasione dei mortali breakdown, che spezzano letteralmente le ossa (‘Their Desired Ascension’), a tratti oltre le leggi della cinetica, quando scattano le incredibili accelerazioni al fulmicotone, spinte da blast-beats allucinanti per numeri da record di BPM e, di nuovo, per un’inusitata veemenza (‘Enter the Procession’).

Ora, passando al setaccio l’LP, a essere obiettivi e sinceri, non c’è nemmeno un passaggio che non sia metal. Le (rare) suinate dell’inverecondo inhale di Giorgio Eternity non hanno nulla a che invidiare a quelle del brutal death metal, per esempio. Come del resto Casper Hollstein e Jon Arent alimentano un riffing terremotante, ricchissimo di propaggini soliste che si dimenano furiosamente rammentando quelle dei Grandi Antichi. Il rombo del basso di William Ehlert è come un tuono titanico, che spinge la band su per iperboli le quali divergono rapide e ripide nel raggiungere l’acme dell’intensità sonora.

‘Defilement Ensued…’ è l’intermezzo strumentale, dal sapore metallico del sangue e quindi in odore di horror, ideale per preparare le membrane timpaniche all’attacco frontale di ‘… to the Sound of Madness’, percorso che, davvero, conduce alla pazzia. Sfascio totale, dissoluzione, aggressività ai massimi livelli musicali possibili. Accelerazioni, frenate, riprese, cambi di tempo, infinite variazioni sul tema. C’è tutto, nelle song che compongono il disco. Disco rovente, che si riesce a toccare con mano solo e soltanto se si è abituati a digerire le frange più oltranziste del metal estremo.

Tuttavia, “Prophetic Blasphemy” non è soltanto un esempio impeccabile di tecnica applicata all’annichilazione, ma anche un torrido contenitore di canzoni che, pur non essendo particolarmente originali per contenuti armonici, seguono fedelmente la strada tracciata dalle menti compositivi del gruppo. Con ciò, creando un insieme talmente compatto da essere indivisibile se non lasciando le varie tracce libere di scorrere senza alcun tipo di intoppo.

Deathcore. Potenza. Potenza. Potenza.

Daniele “dani66” D’Adamo

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