Recensione: Pseudonica

Di Luke Bosio - 19 Gennaio 2022 - 8:54
Pseudonica
Band: Septem
Etichetta: Nadir Music
Genere: Heavy 
Anno: 2022
Nazione:
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80

Dopo anni di sacrifici, dedizione e accurato lavoro, i metaller italiani Septem sfornano il loro terzo album dal titolo “Pseudonica”. Assestano così un altro importante tassello per la crescita tecnico compositiva del loro sound. Vera sintesi delle migliori influenze tratte da band come Iron Maiden – da intendersi quelli dell’ultimo ventennio progressivo – e non ultimi i Nevermore del compianto singer Warrel Dane. Sia ben chiara una cosa: anche se tali influenze a volte paiono essere decisamente marcate, i Septem, non risultano una mera copia delle sopraccitate formazioni. Anzi, hanno il grande pregio di far mirabilmente confluire ed adattare tali influenze al loro contesto sonoro. Grazie anche ad un bagaglio tecnico-compositivo di tutto rispetto.

I Septem, sono un gruppo assai particolare e non molto convenzionale. Con questo terzo album hanno definitivamente scelto di mettere duramente alla prova le loro doti compositive con un lavoro che al suo interno contiene tante sfaccettature progressive e non. Tali da poter gettare l’ascoltatore nel panico nel giro di un paio di brani. Trattasi di un’opera estroversa e libera da ogni catalogazione seppur, come detto prima, gli echi maideniani dell’ultimo ventennio sparsi un po’ ovunque, prevalgono. Le melodie non sono mai banali (a parte la ballad, di cui parleremo), ma sottilmente ricercate. La tessitura vocale, pur se non potentissima, è avvincente. Perfettamente scolpita nel finissimo dosaggio dei break strumentali di chitarre arrembanti e al basso scalpitante, nonché alcuni ottimi ritornelli facilmente memorizzabili.

Questo nuovo platter risulta essere coinvolgente in più di un episodio, anche se il vertice massimo lo si tocca con la stupenda e variegata “Sa Femmina Accabadora”. Capace di infrangere la barriera degli otto minuti di durata e dotata di un guitar-solo al fulmicotone, per il quale grossi nomi farebbero carte false pur di averlo composto. Il brano in questione raggiunge ben presto l’anima e il cuore dell’attento ascoltatore. Non aggiungo altro se non chapeau.

Qualche volta, nel tentativo, di certo ammirevole, di non eccedere nella banalità, i Septem risultano lievemente cerebrali e, seguirli nelle loro lunghe evoluzioni strumentali, può a tratti divenire problematico. Specie per chi non mastica quotidianamente certe sonorità. Difatti lungo tutto “Pseudonica”, questo fattore rende a volte difficoltosa l’assimilazione immediata dell’intero album. Rd anche se i brani di per sé ‘staccano’, lo si potrebbe tranquillamente inquadrare come un’unica lunga suite. Quindi, è perlomeno consigliabile all’ascoltatore un’assimilazione graduale, in modo da poter recepire alla perfezione ogni piccola sfumatura contenuta nel disco.

Tra i brani migliori, citerei sicuramente l’opener “The Other Side”. Emotiva ed allo stesso tempo trascinante e giostrata su un giro di chitarra iniziale davvero ipnotico, che omaggia l’Adrian Smith ispirato del periodo futuristico degli Iron Maiden di metà eighties. Che porta al naturale sviluppo del brano, che verte su un ritornello di facile presa e che sin da subito fa la fortuna dell’intero album. Si cambia il registro con la maggiormente ‘in your face’ la tirata “Blood and Soul”, brano che non fa prigionieri.

Strepitosa ‘’Man On The Bridge’’. Introdotta da un bel giro di basso e tonalità che richiamano, per certi versi, il periodo di maggior splendore solista del mai dimenticato R.J. Dio. Il brano è assai variegato e muta velocità molteplici volte sostenuto dalla doppia cassa dell’ottimo drummer Matteo Gigli. Cui seguono mirabolanti armonizzazioni da parte di chitarre davvero ispirate. La canzone viaggia su tempi elevati, talvolta ritmati, talvolta dall’incedere più possente ed heavy, sulle cui cadenze si staglia un riffarama diviso tra partiture più rocciose contrapposte ad altre più groovy, dettate dal suono del basso posto in evidenza. Ottima. La title-track attacca dritto per dritto a-la Nevermore e dal vivo potrebbe generare qualche attacco di follia omicida tra il pubblico pagante. Parte centrale progressiva di alto, altissimo livello!

Complessivamente riuscite anche song più brevi come ‘The Lust Within’ (strumentalmente il picco dell’album). Dove però il singer Daniele Armanini (dotato si di un’ottima, ma non potentissima voce) è a dire il vero lasciato un po’ troppo ‘isolato’ nel gestire da solo un brano d’impatto come questo. Pezzo che avrebbe necessitato di maggior potenza con un intervento di cori e contro cori. Stesso discorso vale per ‘’Devil In Disguise’’, dove l’intervento della voce gutturale del chitarrista Luca Riggio giunge in soccorso e fa un po’ da spartiacque con la melodia di base del brano, che prende così un paio di schiaffoni gratuiti decisamente rinvigorenti.

Non pervenuta la ballad completamente fuori registro inserita in un album simile. Ballata classica con i suoi forti richiami al serpente bianco dell’ex Deep Purple David Coverdale (baby, baby, baby proprio no!). Insomma, di per sé non è male, ma di certo non è né ‘’Fade To Black’’‘’Wasted Time’’, né tantomeno ‘’Soldier Of Fortune”. Quindi non è la carta vincente che mi sarei giocato così fuori dal mazzo. Decisione della band di inserire una canzone simile, e a questo punto dell’album, dove c’era necessità di compattare maggiormente l’energia e produrre legna da ardere. Proprio mentre l’assistente di palco cominciava a slegare le tende di chiusura delle spettacolo. Scelta, questa, tengo a precisare, che (per questa volta è solo un cartellino giallo) non influisce minimamente sul risultato e sulla valutazione complessiva del disco.

Per fortuna in nostro soccorso giunge l’oltremodo pregevole e conclusiva ‘’The North Star’’ dove la matrice tipicamente techno-thrash è lampante, ma è stata riletta in chiave moderna, anche se, nel suddetto contesto, tale aggettivo assume una connotazione più ampia e meno stereotipata, nonché assolutista rispetto a quella attribuitogli in tempi recenti. Sono rimasto piacevolmente impressionato dal riffing stoppato, che spicca unitamente alle armonie immediate site nel notevole refrain.

In conclusione ‘’Pseudonica’’ risulta essere un lavoro decisamente interessante, consigliato a chi ama il prog-metal rafforzato di vitamine e al tempo stesso raffinato, privo di tutte quelle inutili e minuziose elaborazioni ultra tecniche che a volte lasciano davvero il tempo che trovano. Mirabilmente prodotto da Tommy Talamanca (Sadist) presso i Nadir Studios di Genova. Tommy, produttore eclettico, questa volta ha donato in studio il ‘perfect sound’ ai Septem! Applausi meritatissimi alla produzione.

La discografia dei Septem si rimpingua dunque con un altro episodio di metallo genuino ed incontaminato con “Pseudonica”. Suonato con la competenza di chi vive la musica come un vero e proprio stile di vita. In sintesi, una piacevole conferma per chi già conosceva la band, nonché un’ottima occasione per scoprirla, nel caso in cui, per qualcuno di voi, rappresenti ancora un’entità sconosciuta.

Pagina Facebook: https://www.facebook.com/SEPTEMheavymetal

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