Recensione: Putrefaction of Infinite Apogee

Di Daniele D'Adamo - 9 Marzo 2024 - 0:00
Putrefaction of Infinite Apogee
Band: Perveration
Etichetta: Comatose Music
Genere: Death 
Anno: 2024
Nazione:
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55

Esploso nel Texas qualche lustro fa, il brutal death metal, parente molto stretto dello slamming o slam, ha trovato – chissà perché – un focolaio d’infezione nell’Est asiatico. In particolare, l’Indonesia pare essere una Nazione che apprezzi, ovviamente in ambito underground, questo genere iper estremo del metallo.

E proprio dall’Indonesia giungono sulle nostre tavole da cannibali (di musica) i Perveration, dovuto paragone viste le tematiche da essi affrontate in “Putrefaction of Infinite Apogee”, secondo full-length in carriera. Carriera che si trova in un segmento temporale felice, giacché entrambi i lavori sono sttai eseguiti sotto l’egida della Comatose Music, label notoriamente specializzata nella foggia artistica di cui si tratta.

Una foggia che è soffocata da dettami assai stretti. A parere di chi scrive, anzi, troppo, stretti. Questo poiché così facendo si danno alle varie band pochi elementi, anzi pochissimi, per poter sviluppare un sound tutto loro. Non si tratta di una critica al brutal. No. Si tratta però di un’evidenza osservabile con facilità da chiunque. È ovvio che i Campioni dello slam e/o brutal emergano comunque e con forza dalla marea di act che praticano la medesima disciplina, ma è anche vero che chi non possiede particolari talenti non riesca a divincolarsi da cliché triti e ritriti.

Come i Nostri, sfortunatamente per loro, che non paiono essere in grado di disegnare un stile che sia ricco di carattere, tale da distinguersi, in qualche modo, dal resto della compagnia. Quel che esce a mò di sonorosissimi schiffoni dal disco è, a ogni buon conto, fabbricato se non alla perfezione, quasi. Il duo composto da Jossick alla voce e Sahrul Ramadhan al resto (chitarra, basso e batteria) sa il fatto suo e, onestamente, non c’è nulla da eccepire in relazione a un’esecuzione strumentale assolutamente senza pecche.

Jossick gorgoglia e suineggia con bravura e consistenza, regalando a chi ascolta le linee vocali senza macchia, senza indecisioni, senza tentennamenti magari dovuti al linguaggio. E, come lui, anche Sahrul Ramadhan segue pedissequamente la filosofia brutal, proponendo una mostruosa, inestricabile selva di riff rigorosamente zanzarosi, assai vari e a tratti anche complessi. La batteria suona tipo fustino di polvere per lavatrice, così come deve, con un suono del rullante piatto come una tavola nonché secco e arido come il deserto del Sahara. Difficile, in ultimo, percepire il basso, travolto dalla ridetta selva del riffing.

Tutto quanto sopra, benché idoneo per i palati rivestiti di acciaio, non si muove di un millimetro da ciò che è brutal death metal. Eseguito molto bene, con piglio feroce ma anche con raziocinio e, perché no, tale da essere addirittura preso come regola aurea per chi volesse ripercorrerne la strada senza intoppi.

Detto questo, tutto quanto di buono viene clamorosamente rovinato da un’assoluta mancanza di originalità, di idee, di anima, di talento. Come se il fustino sopra richiamato fosse vuoto. Le canzoni non paiono separarsi le une dalle altre se non per qualche intro ambient dal sapore di decomposione. Un’imitazione molto, molto ben fatta degli originali statunitensi, certo, che nondimeno non ha nulla di suo. Il che, chiaramente, è assai deludente. Tecnica ottima, insomma, ma arte scarsa. Di più, scarsissima.

Per questo “Putrefaction of Infinite Apogee” è rappresentativo di un ensemble in grado di sciorinare senza pecche brutal death metal di alto livello a iosa, ma senza che ci sia qualcosa oltre la mera attuazione delle regole stilistiche che tengono in piedi il brutal stesso.

Tanta buona volontà e impegno, tanta scarsezza di contenuti.

Daniele “dani66” D’Adamo

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