Recensione: Reforging Pneuma

Di Emilio Sonno - 14 Marzo 2004 - 0:00
Reforging Pneuma
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Anno: 2003
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70

Non me ne voglia il caro buon vecchio Matteo (Truzz’) però Puer, il precedente lavoro dei P.U., non mi era piaciuto tanto da giustificare un giudizio complessivo corrispondente a quello invece da lui assegnato.
Come da egli asserito, senza alcun dubbio, lodevole era “la voglia di non allinearsi ad un trend del momento”, voglia che però spesso portava a complicati giochi musicali non sempre collimanti alla perfezione; indubbiamente buone erano, già allora, le idee e anche la componente tecnico-compostiva, malgrado ciò il tutto rimaneva in fin dei conti poco convincente delineando, a mio parere, spesso più ombre che luci, e rimanendo frutto ancora troppo acerbo di un albero invero assai rigoglioso.
Con il nuovo lavoro i black-deathster capitolini, hanno, invece, prevenuto diverse delle mie eventuali critiche: su tutte la produzione indubbiamente migliore, ad opera del promettente (non solo nei panni di tecnico del suono) Stefano Morabito, ancora passibile, tuttavia, di migliorie sia nella sua completezza, che per quanto riguarda specifici comparti di batteria.
Rispetto alla prima release, un suono quindi meglio delineato e meno confusionario, che pur non apparendo magari miglioria imprescindibile ai proseliti del black più grezzo tende a dare maggior risalto a tutte la parti più prettamente death, specie nei frequenti e complessi cambi che caratterizzano il loro personalissimo stile.
L’originale ibrido dei due generi, rimane tendenzialmente lo stesso di sempre, soltanto reso più omogeneo e maggiormente d’impatto, lasciando intravedere vene ispiratrici che conducono a vere e proprie leggende provenienti dalle fredde terre scandinave come DarkThrone, Immortal, in alcuni casi Satyricon, e non certo ultimi i Dissection.
Se il sound non è di fatto cambiato in maniera così palese, oltre che alla coerenza della band, lo si deve anche al fatto che in fin dei conti siamo di fronte ad una sorta di “reissue” del precedente lavoro arricchito di due nuove composizioni.
Ed è proprio una di esse, Gothic Vulture, che abilmente posta in apertura di disco, si fa subito ascoltare con piacere, aspirando subito al titolo di song più bella dell’intero lotto sia musicalmente che compositivamente: decisamente varia, e con qual suo incedere martellante, per via di un efficacissimo Eshla alla batteria, lascia intravedere i progressi compiuti dai nostri.
I fraseggi dei due chitarristi Synder e Nepesh Ra denotano uno spiccato gusto per il black di stampo norvegese e un invidiabile feeling, riscontrabile negli onnipresenti intrecci in cui prepotentemente si inserisce pure il solito Paranoia con il suo basso, deciso a non fare da soprammobile come tanti altri latitanti colleghi.
L’affinità dei bandmate è palese soprattutto nelle tracce più datate, dove con sicurezza il combo si inerpica su sentieri impervi senza alcun timore, riuscendo sempre ad arrivare a destinazione. Il risultato di cavalli di battaglia come Dethroned oppure The Cannibal Naphidim è indubbiamente assicurato e lo stesso accade con Astral Moonlight dove trovano terreno fertile molte soluzioni melodiche, swedish, che quasi finiscono col chiamare in causa i compianti At The Gates, senza snaturare eccessivamente l’impronta stilistica del disco.
Da aggiungere come, decisamente più convincente che dal vivo (mi riferisco però ad un’esibizione non proprio recentissima!), mi sia parsa la prova di Synder come vocalist: abbandonati quasi completamente i suoi noti “urletti” naglfariani, sembra aver rimpiazzato con risultati sufficienti il vecchio cantante Count, aiutato nell’impresa da altri due noti personaggi della scena romana: Hatred e Saul.
Senza analizzare troppo le canzoni già note, rimaste perlopiù invariate (eccezion fatta per Dethroned) bisogna dire comunque che il discorso si può riproporre piuttosto similmente ai nuovi brani, nati anch’essi dalla consueta commistione di componenti maggiormente melodiche, talvolta quasi acustiche, con altre decisamente potenti e frenetiche, fortemente contrastanti le une con le altre, rimanendo accomunate da un radicato richiamo alla tradizione nordeuropea e dall’abilità dei quattro musicisti.
Abilità che talvolta non basta poiché in alcuni casi forzato continua ad essere il succedersi di strutture che fatica ad amalgamarsi completamente, proponendo un impasto troppo spesso eterogeneo che avrebbe bisogno di alcuni alleggerimenti, utili a snellire quelle parti dove la carne sul fuoco è non certo poca.
Questo l’unico appunto che mi sento di fare perché per il resto produzione, songwriting, personalità e maturità si sono tutte incrementate e questo fa ben sperare per il futuro: la stoffa c’era allora e c’è adesso ancor più di prima, bisogna solo aspettare ulteriori sviluppi, sicuramente positivi.
Emilio “ARMiF3R” Sonno

Tracklist:
01 – Intro
02 – Gothic Vulture
03 – Dethroned
04 – Thanatos
05 – Astral Moonlight
06 – The Cannibal Naphidim

 

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