Recensione: Remember That You Will Die

Di Matteo Burchianti - 1 Gennaio 2023 - 14:00
Remember That You Will Die
Band: Polyphia
Etichetta: Rise Records
Genere: Progressive 
Anno: 2022
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
83

Ho sempre amato il progressive metal principalmente per due ragioni: sicuramente in primis la poderosa sfaccettatura di note che vengono sfruttate durante un brano, caratteristica fondamentale di questo genere, che portano l’ascoltatore ad intraprendere viaggi mentali durante l’ascolto degni dei migliori trip da sostanze stupefacenti. La seconda ragione, e probabilmente quella più nobile ed elegante, risiede nella frequente presenza di voci dal timbro angelico che fanno da guida durante i nostri sogni uditivi. Ma cosa accade se, nella scelta della band, la componente vocale viene del tutto, o in parte, estirpata dalla line up? Molti artisti hanno intrapreso questa strada e con risultati anche piuttosto lodevoli: Plini, Animals As Leaders o i maestosi Apocalyptica. Oggi ci inoltriamo nel mondo di una band che della tecnica ha fatto la propria arte, spaziando in realtà in territori che la mente umana raramente riuscirebbe a partorire, in un album che già a partire dall’artwork spiazza e lascia perplessi, ma allo stesso tempo ci incoraggia a premere play.

Se la Genesi è l’inizio del mondo e di ogni cosa, la prima traccia “Genesis (feat. Brasstracks)” non lascia spazio ad alcun dubbio: i Polyphia ci danno dentro e lo fanno sul serio, fin dalle prime note, creando un connubio di generi e partiture che, quasi come in un film, ci portano di fronte alla creazione stessa della materia: ogni cosa funziona alla perfezione, rientrando nei tempi giusti così che il brano risulti accattivante ma mai stucchevole.

 

 

Adesso immaginatevi una serata romantica, un buon calice di vino e la conclusione perfetta in una notte d’amore sfrenato e passionale: “Playing God” è un orgasmo di sensazioni esplosive, la pura e semplice sublimazione di un’arte che non può che portare all’eccitazione mentale di chi si abbandona anima e corpo a queste voluttuosità. Ma siamo metallari senza peli sulla lingua e la passione ci scorre nelle vene quanto l’idromele nei boccali del Valhalla, ed abbandonandoci a queste mistiche sensazioni, proseguiamo attraverso l’elaborata struttura della terza traccia: “The Audacity (feat. Anomalie)” è una scheggia impazzita che ci fa rinvenire da una sbronza colossale, attraverso riff velocissimi, articolati ed una batteria che pesta con precisione chirurgica ad ogni nota. Recuperate le forse, una chitarra in lontananza ci fa muovere i primi passi, quasi fosse il canto di una sirena, a dimostrazione di come spesso non serve una bella voce per far parlare uno spartito, se la tecnica è tale da incantare chi ascolta: “Reverie” ci attira a sé, marinai stolti, naufraghi di onde che ci travolgono potenti e feroci. Ignari della nostra destinazione, ci abbandoniamo alle onde, e qualcosa a questo punto del naufragio ci spiazza, lasciandoci perplessi: “ABC (feat. Sophia Black)” apre le porte a nuovi orizzonti all’interno di questo album, introducendo per la prima volta una presenza vocale. Sebbene la proposta in chiave hip hop della cantante sia, a parere di chi scrive, una componente esplosiva e rischiosa da aggiungere ad un genere così articolato e raffinato come il prog, devo ammettere che il risultato finale risulta tutt’altro che stucchevole, grazie anche alla breve durata del brano ed alle sincronie quasi perfette che le due facce di questa moneta preziosa raggiungono; aggiungerla alla nostra collezione, non sarà un cattivo affare.

La successiva “Memento Mori (feat. Killstation)” è forse la traccia che sorprende meno, in quanto arruffianata alla precedente e, di conseguenza, meno trascinante ed accattivante: la voce, stavolta maschile, tocca sicuramente note interessanti, ma riproponendo un rap/hip hop neanche troppo innovativo, manca di quella freschezza che magari avrebbe fatto tanto comodo, riducendo il brano a qualcosa di decisamente godibile ma, aimè, nulla più. Ciò che continua a non mancare è la strepitosa presenza strumentale della band, che ci delizia con riff e giri sempre interessanti, come dimostrato nella brevissima (1:19) ma comunque molto piacevole ottava traccia dell’album “All Falls Apart” e in “Neurotica”, che pare quasi distorcere la dimensione nella quale ci troviamo, ricordandoci che siamo di fronte ad un prodotto folle, tecnico e maniacale, e non ad una lezione di canto di un gruppo di scout di fronte ad un focolare. Qui ogni strumento dà il meglio di sé, facendo capire a chi ascolta che questa non è musica per tutti, ma che tutti dovrebbero dare una chance a questa splendida musica.

Dopo un cammino tanto travagliato siamo giunti alle ultime tre tracce, sicuramente le più potenti ed aggressive dell’intera opera: si parte con “Chimera (feat. Lil West)”, che come una creatura mitologica, aggredisce l’udito dell’ascoltatore con una nuova potenza mai udita finora, dando sfoggio di riff del tutto nuovi e, solo sul finale, di un breve intervento vocale da parte di Lil West che nulla aggiunge e nulla toglie alla bellezza dei 3:56 d’ascolto. La successiva e penultima song, “Bloodbath (feat. Chino Moreno)”, è una di quelle tracce che vorremmo non finissero mai : la presenza del cantante dei Deftones rende la traccia un vero e proprio monolite, che spezza ogni barriera creatasi intorno all’ascoltatore finora, trascinandolo in un vortice devastante di potenza uditiva che mancava al disco, dandoci così un motivo in più per godercelo fino in fondo. Ma come dicevano i romani, amici ascoltatori, dulcis in fundo est, e questo evidentemente i Polyphia lo avevano calcolato molto bene, perché quella che vi presento adesso, come fase conclusiva del nostro cammino, è tecnica pura, armonia che trasporta oltre le nuvole, ed un connubio di artisti che hanno portato la musica sulle vette più alte del paradiso: “Ego Death (feat. Steve Vai)” racchiude nei suoi 5:50 tutta la meraviglia che questa band ci ha voluto tramandare: non esistono parole adeguate per descrivere come la capacità di ogni singolo musicista renda il risultato finale entusiasmante: un giro di basso serrato crea la perfetta atmosfera all’interno della quale le chitarre si danno battaglia, come in un’arena, con uno scontro senza esclusione di colpi.

Quello che posso dire riguardo questo Remember That You Will Die è che per l’ennesima volta la musica ha dato dimostrazione di quanto sia espressiva e travolgente, terminando con uno scontro senza pari tra artisti che ci donano il meglio di sé dando voce ai propri strumenti. Il vincitore? Chi sarà in grado di dare una possibilità a questa splendida opera d’arte.

 

Ultimi album di Polyphia