Recensione: Rise

Di Daniele D'Adamo - 28 Ottobre 2022 - 0:00
Rise
Band: Terraphobia
Etichetta: Darkstorm Records
Genere: Death 
Anno: 2022
Nazione:
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70

Thrash o death? Death o thrash? Il dilemma appare davvero concreto nell’incapacità di definire correttamente la musica dei Terraphobia. Band che miscela i due generi in parti pressoché uguali, senza che si sbordi né a destra, né a sinistra.

Del resto, gli australiani sono ben noti per le loro stranezze in ambito metallico, per cui perché sorprendersi? Tuttavia, un’attenta disanima dei dettami che tengono per le fila “Rise”, quarto full-length in carriera, pongono il medesimo nella direzione del death metal. Soprattutto per una tipologia di assalto sonoro che rammenta i primissimi act che, dal thrash, appunto, si sono evoluti (o involuti, dipende dai gusti) nel death.

E death metal sia. Non che ciò sia così importante: alla fin fine ciò che importa è lo stile, l’impronta musicale, la sostanza, l’anima, il cuore.

E di sostanza i fratelli Mick (voce, chitarra, basso) e David Jelinic (chitarra) ne infilano parecchio, nel disco. Si può storcere il naso per l’uso della drum-machine ma, a essere onesti, questa soluzione al momento non inficia più di tanto il risultato finale. E questo poiché a Mick, nel suo sempiterno status di one-man band, è stato affiancato David solamente in questo lavoro, con il risultato immediato dell’esistenza di un riffing assai efficace. I riff granitici di estrazione thrash si susseguono quindi con precisione millimetrica, elaborando una ragnatela dalla solidità assoluta.

Se poi si tende l’orecchio specificamente alle montagne di accordi stoppati dall’immancabile tecnica del palm-muting, si possono gustare richiami all’heavy metal (‘Town of Death’) e all’hardcore (‘Paralogical Delusions’). Una fase ritmica che non è seconda a nessuno, completa nel riempire sino al colmo le canzoni, costellata da main-riff devastanti, compressi, che non presentano buchi; elaborando così un muro di suono coeso, compatto, duro come il granito. Anche quando i ritmo si spinge oltre i confini dei blast-beats (‘Preach That Hate’).

Il tutto, sottolineato da brevi campionature che, però, pur nel loro limitato utilizzo, aiutano a inspessire il sound e a renderlo meno freddo (‘Rise’), con toni piuttosto cupi che spingono l’ascoltatore verso la paura. Paura del pianeta Terra (terraphobia).

La conseguenza dell’ingresso in formazione di David Jelinic, e quindi la possibilità di manovrare il suono con due asce da guerra, conduce a un’inaspettata propensione per la melodia. Nemmeno troppo nascosta anzi. Brani come l’opener-track ‘Eschaton’ o ‘Narcissistic Outcast’ presentano, in bella in vista, degli assoli dalla pregevole fattura. Mostrando un gusto sopraffino per lo sfavillio derivante dal buon, anzi ottimo uso della chitarra solista (‘Drowning in Tears’).

Stupendo, poi, il cambio di ritmo al contrario di ‘Apathy of Fear’, nel senso che si parte veloci per decrescere con i BPM. Un’idea magari non originalissima ma che da adito a un incedere travolgente, anche in questo caso abbellito da assoli di gran qualità tecnico/artistica.

Dato atto della bravura dei Nostri nel maneggiare i propri strumenti, ciò che manca è un vocalist di ruolo, specialista nell’inerpicarsi sulle alte vette ritmiche di uno stile che, in fin dei conti, è sufficientemente personale. Mick Jelinic fa senz’altro il suo meglio ma l’esito finale è piuttosto monotono, monocorde. Tale da abbassare un po’ la valutazione conclusiva dei singoli brani. Ben diversi gli uni dagli altri dal punto di vista musicale, benché obbedienti agli stilemi che disegnano il marchio di fabbrica del binomio proveniente da Melbourne.

Un cantante e un batterista, quest’ultimo sempre meglio di una macchina anche se ben programmata, potrebbero essere i due innesti in grado di permettere di alzare l’asticella del livello dei Terraphobia. A ogni modo “Rise” è un LP che si lascia ascoltare con piacere, scorrendo via con fluidità, lasciando intravedere margini di miglioramento nella costruzione di un’opera di questo genere.

Daniele “dani66” D’Adamo

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