Recensione: Rise To Glory

Di Luke Bosio - 3 Febbraio 2018 - 10:34
Rise To Glory
Band: Loudness
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2018
Nazione:
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80

Il grande inghippo a nome Loudness cominciò ad affiorare sul finire del 1983, quando qualcuno (la MFN) in Inghilterra si prese la briga di importare (prima) e stampare (poi) il quarto album “Disillusion” (il primo cantato in 2 lingue) nonché il doppio dal vivo “Live Loud Alive” (un manifesto di intenzioni). Troppo bravi e preparati con gli strumenti, troppo avanti a livello compositivo e con nei ranghi un chitarrista fuori dalla portata… Costoro rischiarono di oscurare con un solo giro di chiave tutto il metal ad alto lignaggio che dominava indiscusso in quegli anni come una vera religione le lande inglesi, olandesi e teutoniche (ovviamente L’Italia cominciava a capirci qualcosa, ma poco e colpevolmente in ritardo). Eroi in patria – emeriti sconosciuti altrove! Bah! Un mistero ai tempi ancora tutto da scoprire. Non sappiamo se furono promesse allettanti o cos’altro, ma da li a poco i Loudness vennero letteralmente prelevati e importati di forza sia in America che nel vecchio continente. Successivamente venne dato loro in mano un contratto importante con la Atlantic con cui la band si impose a livello mondiale con il fantastico “Thunder In the East” del 1985. Successivamente vennero letteralmente plasmati e trasformati in qualcos’altro (un ibrido insignificante tra Dokken e Motley Crue) che nel volgere di una decade scarsa venne cancellato definitivamente dalle mappe. Dopo il periodo con Vescera alla voce – ovviamente un cantante americano era la mossa giusta – arrivato tardivamente e nel bel mezzo dell’era grunge portò a fatica a conclusione il contratto con la ATCO/Atlantic. I Loudness fecero mestamente retromarcia nel paese del Sol Levante. Fu una debacle discografica totale ma alla band non fregò più di tanto dato che potevano contare su una moltitudine di fans incalliti in patria (in Giappone sono come il vecchio ubriacone di Vasco da noi per rendervi l’idea) che gli garantivano ancora lunga vita! Una decina di album inascoltabili (usciti dal 1994 al 2004 da Heavy Metal Hippies a Terror), lavori privi di qualsiasi buon senso e di alcuna melodia. Poi il ritorno di Minoru Niihara e con lui del metal classico con “Racing“, album ancora zoppicante e imbrattato da strane voglie alternative e qualche sperimentazione di troppo. C’è voluto un po’ di tempo ed alcune release discrete, con copertine che richiamavano palesemente il periodo d’oro della band, tenendo vivo il ricordo e facendo ogni volta ben sperare anche i loro fans del Vecchio Continente. C’era già stata più di un’avvisaglia di risveglio col precedente “The Sun Will Rise Again” di quattro anni fa, ma ora possiamo tranquillamente affermare che la band di Osaka ha mantenuto le sue promesse di resurrezione e, con “Rise To Glory” è tornata a produrre metallo bollente a livello industriale!

Basta una intro – ci sono 2 giri di basso e 4 armonie differenti di chitarra – e poi la partenza a razzo dell’opener “Souls On Fire” per farvi cadere la mascella a pezzi! Trattasi di canzone da 5 stelle, che da sola merita l’acquisto immediato del disco. La successiva “I’m Still Alive” è un classico esempio di come questi giapponesi intendono suonare speed metal: peccato per il fade non giustificato nel bel mezzo di un brano già di breve durata, che marciava bello spedito di suo. Questo è l’unico appunto negativo che mi sento di muovere all’intero disco. Nel suo complesso l’album si mantiene ad altissimi livelli e tra i brani è giusto segnalare il riff spacca ossa di “Go For The Broke” esempio perfetto di classic metal ottantiano con tanto di coretti simil MZA di “Crazy Night”, mentre la più melodica “Untill I See the Light” pare volerci far tirare un po’ il fiato. Come il mid tempo incalzate di “The Voice”, dotata di un dolce e raffinato arpeggio e tanta melodia e il solito Akira Takasaki che taglia, cuce e confeziona ritmiche hard & heavy e assoli stratosferici, perfettamente coadiuvato da Minoru, che dal canto suo strilla sempre come un ossesso e, anche se non si continua a capire un cazzo di quello che quel dice, ormai ci abbiamo fatto l’orecchio… La cosa risulta essere estremamente cool e senza questa voce selvaggiamente zelante al comando non potrebbero essere i veri Loudness. 

Con “Massive Tornado” i nostri eroi ricominciano a martellare in maniera incessante con il loro metallo old-school ma dannatamente efficace, grazie anche a una sezione ritmica perfettamente rodata: il drumming di Suzuki è semplice, ma sempre preciso e potente ed il basso di Yamashita perfettamente calibrato e udibile, grazie a un mixaggio assai intelligente. La seguente strumentale “Kama Sutra” sembra essere un chiaro tributo ai Rush (i giri di chitarra e alcuni passaggi sui tom sono proprio quelli di “2112”) ed è posta strategicamente a metà dell’opera. Per i più distratti potrebbe essere l’occasione per una sigaretta in attesa dello svolgimento ulteriore di “Rise To Glory” che si manifesta da li a poco con la ritmica aggressiva proprio della title-track, un brano che ha voglia di far vergognare i Dokken (periodo “Tooth & Nail”, non proprio gli ultimi arrivati), anche se mantiene un assetto più incazzoso rispetto al materiale degli americani. Magnifica! Semplicemente superba “Rain” con i suoi scorci Osbourniani/Sabbathiani e anche la conclusiva “Let’s All Rock“, una bonus buttata nel culo dell’edizione giapponese si rivela sin dalle prime battute un inno anthemico da cantare a squarciagola sotto il palco in sede live.

Pur non raggiungendo il livello espressivo melodic-power-commerciale estremamente sintetico di “Thunder in The East” né tanto meno la furia metallica iconoclasta di “Disillusion“, questo “Rise to Glory” suona come qualcosa che li ricorda entrambi, molto da vicino! Se volete ascoltare come si suona METAL nella sua forma più pura, puntate tranquillamente e ancora una volta sui Loudness per quello che per molti sarà nella top ten di fine 2018. Se invece siete ignari di tutto questo ribollire di ferro e acciaio e volete sapere come si massacra una chitarra dandole infine fuoco, non vi resta che alzare il volume a chiodo e lasciare che il maestro Takasaki vi giustizi di persona con la sua Katana a sei corde! Fuori i secondi…

P.S. Sulla versione europea e americana troverete un bonus cd: il primo della tripla raccolta ‘Samsara Flight’, pubblicata in Giappone nel 2016 contenente 13 brani dei Loudness completamente ri-registrati e tratti dai primi 3 album usciti negli anni 80 pre-Disillusion.

 

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