Recensione: Sacred Groove

Di Sixx77 - 6 Dicembre 2005 - 0:00
Sacred Groove
Band: George Lynch
Etichetta:
Genere:
Anno: 1993
Nazione:
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85

Corre l anno 1993 quando il palestrato chitarrista ex Dokken e Lynch Mob, forse deluso dalla mancanza di considerazione riservata dal pubblico alle sue pur ottime ultime realease, scioglie i suoi Lynch Mob e decide di dare alle stampe un disco solista con cui poter sperimentare soluzioni nuove, sfruttare idee valide che in passato non trovarono spazio e cercare di sfogare al meglio il suo talento in composizioni strumentali.(Non va dimenticato infatti che anche se il grande pubblico non apprezzava più come prima la sua proposta musicale lui continuava ad essere un chitarrista tecnicamente molto apprezzato ed emulato.)

Questo si materializza in “Sacred Groove” edito da WEA/ Elektra entertaiment, stessa di Dokken e Lynch Mob.
L’uscita di questo “Sacred Groove” è da considerarsi un po’ il canto del cigno del Lynch del primo periodo, quello che mischiava Hard & Heavy in un eccitante alchimia fatta di melodia, aggressività e buona tecnica.Un disco quindi coerente con la vecchia discografia ma arricchito da spunti originali e caratterizzato da un azzeccatissima scelta di “special guest”.
Il caotico ed effettato intro chitarristico “Memory jack” fa da presentazione a quella che è l opener del disco, la Strumentale “Love Power From the Mama Head” , una composizione tipicamente Lynch-Style caratterizzata da quei riff aggressivi e fraseggi chitarristici di grande dinamismo e melodia che resero celebre la Dokkeniana “Mr.Scary”.
Segue “Flesh & Blood”, una canzone decisamente heavy e grintosa con un grande ritornello in mid tempo scandito dalla doppia cassa e che vede la partecipazione alla voce del fantastico, unico, fenomenale Ray Gillen(Badlands, Black Sabbath, ecc) la cui prestazione è, come sempre, da brivido.
E’ Affidato invece ai biondissimi fratelli Nelson il cantato della seguente “We Don’t Own This World”, canzone che strumentalmente ricorda i lavori più melodici dei Lynch Mob mentre vocalmente vede alzarsi l ombra del Don Dokken più melodico e caldo(non cè da stupirsene considerato che il testo, come penso la linea vocale, fu scritta da Lynch in collaborazione con Don!). Da segnalare, come se ce ne fosse bisogno, il fantastico assolo quasi neoclassico(ma non Barocco!) di un Lynch che in questo disco è veramente al suo top, per gusto e tecnica espressa.
La seguente traccia è invece il primo vero “Esperimento” del disco, la strumentale “I Will Remember”.
Subito diventata un classico del repertorio di Lynch(che la ripropose Live in seguito con i Dokken!),”I Will Remember” è scandita in acustico da una sequenza di semplici accordi sui quali Lynch dipinge una suggestiva serie di malinconici fraseggi prima puliti, poi distorti in un crescendo emozionante.Un vero capolavoro che tra l altro vede l attiva partecipazione(come anche in altre song del disco!) di Jeff Pilson al basso e piano.

A spezzare i ritmi calmi e riflessivi è la rabbiosa, caustica e perversa voce di Mandy Lion (Singer americano reso celebre dalla sua sfortunata quanto breve avventura con i Wicked Alliance di Jake E. Lee) che introduce “The Beast”, canzone articolata in due parti in cui George Lynch sperimenta per la prima volta soluzioni diverse, accordature basse e altre particolarità come il Sitar per rendere più oscura ed inquietante la song, che per questo trova in Mandy Lion una voce tra le più indicate.
“The Beast” mostra spunti particolari e interessanti ma a differenza delle precedenti è meno diretta è decisamente spiazzante, non esplode mai come le altre in un accattivante ritornello, per questo, l impressione che si ha è di un esperimento riuscito solo a metà!
Con la seguente “Not Necessary evil” il sound ritorna sui binari hard Rock (ancora Lynch mob style!) di grande presa, e questa volta alla voce troviamo nientemeno che “The Voice of rock” Glenn Hughes che già dalle prime battute mette i brividi per qualità interpretativa.La song è veramente bellissima e vede nella scelta di Hughes la soluzione perfetta.
Sulla stessa scia hard anche il pezzo seguente “Cry of The Brave” che vede Hughes non solo interprete d eccezione ma anche unico autore del testo.
Il disco si conclude con la terza strumentale “Tierra del Fuego”, una fantastica prova in cui lo stile classico di George Lynch viene miscelato a delle sonorità dal gusto Latino in cui Lynch addirittura duetta(o sarebbe meglio dire Duella!) ai soli, sia elettrici che acustici, con il virtuoso chitarrista californiano Darryl Gabel.
In conclusione, un disco assolutamente da non perdere per chiunque ami, non solo George Lynch, non solo il chitarrismo eccezionale, ma in generale l Hard Rock suonato e cantato con grande gusto e buona tecnica.
“Sacred Groove” rappresenta, per George Lynch, un vero e proprio spartiacque. Dopo di esso arriverà la Reunion con i Dokken e con essa un evoluzione “modernista” delle sonorità che lo accompagnerà, tra alti e bassi(Più bassi che alti a dire il vero!) fino ad oggi.

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