Recensione: Sagovindars Boning

Di Daniele Balestrieri - 1 Maggio 2004 - 0:00
Sagovindars Boning
Band: Otyg
Etichetta:
Genere:
Anno: 1999
Nazione:
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92

1999: Dopo appena un anno dall’uscita dell’eccellente Älvefärd, Vintersorg ritorna nell’oscurità dei Ballerina Studios insieme a una schiera di musicisti per creare quello che probabilmente brilla nell’universo del maistream come il picco tecnico più alto mai raggiunto musicalmente dal folk puro. Ormai giunto al punto di rottura con tutto ciò in cui aveva creduto, nel gennaio dello stesso anno Vintersorg decide che è il momento di raccogliere tutte le esperienze scaturite da Till Fjälls, Ödemarkens Son e Älvefärd e di creare una specie di summa del folk, l’opera più lunga, più complessa, più significativa e più sentita tra tutte quelle da lui mai create fino a quel momento. Conclusione di una sorta di quadrilogia dedicata alla Svezia e alle sue bellezze naturali in Vintersorg, e alle sue leggende negli Otyg, Sagovindars Boning rappresenta il volto più epico e spirituale di una medaglia che in Älvefärd aveva mostrato la parte più popolare e diretta. Scelti ancora una volta i mistici acquarelli di Theodor Kittelsen come mezzo visivo da accompagnare alla propria musica, Vintersorg si accompagna a una gradita conoscenza come voce femminile, Cia Hedmark, e a Mattias Marklund alle chitarre, Fredrik Nilsson alla batteria e a Daniel Fredriksson al basso e a tutti quegli elementi che fanno grande il folk nordico, ovvero al flauto di salice, al munnharpe e al liuto, i tre strumenti pastorali tradizionali scandinavi.

Se inquadrare il folk degli Otyg a livello musicale risulta alquanto semplice per i vecchi conoscitori del grande solista svedese, per i digiuni di questo genere non sarà facile comprendere a parole una tale ricchezza di strumentazioni e melodie. Ascoltare i quattro capolavori folk di Vintersorg senza comprenderne i testi è purtroppo un problema non indifferente che pregiudica in parte la fruizione completa di opere di tale calibro, e Sagovindars Boning non è da meno. Proprio la copertina, il castello dei troll di Kittelsen, palazzo splendente incassato nelle impervie pareti dello scudo baltico, funge da apertura all’album. “Trollslottet” dichiara senza mezzi termini il livello generale dell’album, prima con un violino soffocato, e in seguito con una grande costruzione metal fatta di chitarre poderose, di un violino dolce scaturito dalle eteree mani di Cia Hedmark, di una ottima batteria che accompagna la calda, potente, geniale, unica voce di Vintersorg, probabilmente una delle ultime grandissme menti soliste del metal scandinavo. L’eccellente melodia di Trollslottet è giocata sull’impatto delle consonanti dello stesso nome, che costituisce il ritornello della canzone, e che a ogni cadenzato impatto di “r”, “l” e “tt” trascina con se chitarre, violini, batteria e un eccezionale munnharpe a doppia asta, che crea un tappeto folk tra i più interessanti dell’intero panorama, e posso dire senza esitare che questo è in assoluto il miglior uso del munnharpe che abbia mai sentito in tutta la mia vita. L’album si dipana attraverso canzoni più lente e ritmiche come la seconda, “Vilievandring“, dove assieme al violino emerge anche la sensuale voce di Cia Hedmark, e ancora una volta abbiamo un eccellente munnharpe e una melodia che rapisce il cuore, esattamente come nella malinconica “Galdersbesjungen“, in cui Vintersorg si cimenta in uno “scontro vocale” con se stesso, e sentiamo per la prima volta il fischio isterico del flauto di salice, un flauto peculiare scandinavo che dev’essere suonato appena creato, poiché dà quel suono unico solamente quando il legno di salice è ancora flessibile, e dev’essere buttato qualche giorno dopo, quando il legno ha perso la sua flessibilità e il flauto ha cambiato suono. Con la seguente, “När Älvadrottningen Kröns“, assistiamo al primo assolo strumentale di una certa consistenza, sempre nel piacevole ritmo cadenzato molto equilibrato di un folk che racconta il cuore del popolo senza dimenticare le profonde radici metal che alimentano il genio di Vintersorg. Interessante la ritmica della seguente “Bäckahästen“, la mia preferita insieme a Trollslottet e alla seguente, un racconto possente, dinamico, quasi goliardico di un luogo che lui ritiene segreto e inarrivabile, dove Vintersorg si concede velleità da maestro scaldo, le stesse che poi guideranno la sua follia siderale appena un anno più tardi e lo allontaneranno dalla scena folk fino a renderlo quel geniale psico-visionario al limite dell’inascoltabile di Focusing Blur. Ottimo il duetto con Cia che apre la splendida “Årstider“, una eccellente descrizione del ciclo delle stagioni in una chiave insieme ritmica e melodica, una canzone che riporta ai tempi di Huldran in Älvefärd. Ossessiva nel suo ritornello opprimente, e quasi slava nelle sonorità è la seguente “Mossfrun Kölnar“, dallo schema ripetitivo in stile “Oppi Fjellet” della grande coppia Fenriz-Satyr ma con una lettura più leggera (soprattutto nei temi) di grande gusto Vintersorghiano. Opprimente, oscura anche la seguente, “Vättar Och Jättar“, con il suo flauto etereo, le sue misteriose interruzioni, i suoi peculiari cambi di tempo e le sue pause come di chi si sente osservato mentre racconta una leggenda dimenticata da millenni.

Mentre ormai l’ascoltatore si è immerso nei sentieri di montagna descritti con tanta peculiarità da una signora formazione, Vintersorg decide di giocare con le emozioni e di inserire un “Holy Diver” che lascia davvero stupefatti. Non che sia una cover a tutti gli effetti in fondo… Vintersorg ha preso il capolavoro di Dio e l’ha rimaneggiato a modo suo, inserendo un morbido munnharpe, un violino molto vivace e l’ha ricantato secondo le sue regole. La voce è diversa, sicuramente, e non possiamo definirlo di certo all’altezza, e a dire il vero non gioca nemmeno a favore dell’atmosfera dell’album, ma considerando quello che è riuscito a combinare in seguito con la sua band di testa, direi che questo è il male minore.
La sera ormai allunga le ombre dei boschi, e giunge la delicatissima “Lövjerskan“, altra canzone in pieno stile Vintersorg, che porta il grande fascino di storie dimenticate grazie anche a un ottimo assolo polifonico e alla mai abusata voce di Cia Hedmark, che costruisce un intricato tappeto musicale di piante, radici, foglie, frutti e spiriti della foresta, che esplodono nella seguente “Varulvsnatt“, la notte dei lupi mannari, una specie di seguito – anche a livello melodico – della Ulvskrede presente in Älvefärd, sebbene non così veloce e logorroica come la precednte. Chiude l’album “Gygralock“, una tranquilla catarsi musicale associabile per mood e per evoluzione melodica alle pari “Fängad Utav Nordens Själ” di Till Fjälls e alla “På Landet” di Ödemarkens Son. Eccellente nella sua descrittività, gli strumenti sembrano quasi piangere insieme alla voce di Vintersorg mentre si allontana lungo l’ultima canzone folk della sua carriera, con una gran pompa musicale e una dimostrazione di talento con pochi pari nel suo stesso campo. Eccellente l’ultimo minuto, in cui uno strumento stridulo imita un verso lamentoso da banshee, nel silenzio più totale, mentre l’album sfuma e il grande folk di Vintersorg conclude l’ultima corsa della sua storia.

Un album emozionante come pochi, di composizione eccellente, di grande varietà, che dimostra per l’ennesima volta il talento di Vintersorg. Chi già conosce i suoi altri tre lavori folk, ovvero Till Fjälls, Ödemarkens Son e Älvefärd, probabilmente non ha bisogno di altri inviti all’acquisto: siamo a quel livello, e tecnicamente siamo anche oltre. Manca del primitivo, turpe, violento, sanguigno spirito nazionalistico degli Storm, con cui condivide molte parti strumentali, ma al contrario guadagna in espressione puramente filosofica ed estetica: laddove Till Fjälls e Ödemarkens Son sono dei viaggi interminabili, Sagovindars Boning è un ricamo ottocentesco in un salotto borghese: ottimo, delicato, cesellato, complesso e di grande impatto sonoro. È il completamento indispensabile di Älvefärd, di cui è cornice ed evoluzione: entrambi gli album sono pari – se da un lato Älvefärd brilla per hit (Huldran, Skymningsdans, Ulvskrede), Sagovindars brilla per finezze tecniche e forza espressiva: a entrambi quindi lo stesso voto. Capitoli seminali di un genere che ormai è troppo evoluto per mantenere lo stesso volto del passato, e ultimi respiri di un Vintersorg che, sciolti gli Otyg e annientati i Vintersorg folk, è ora proiettato ad altezze inimmaginabili, tra il genio e lo sperimentale più assoluto.

TRACKLIST:

Trollslottet
Vilievandring
Galdersbesjungen
När Älvadrottningen Kröns
Bäckahästen
Årstider
Mossfrun Kölnar
Vättar Och Jättar
Holy Diver
Lövjerskan
Varulvsnatt
Gygralock

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