Recensione: Sanctuary

Di Stefano Ricetti - 4 Giugno 2009 - 0:00
Sanctuary
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Anno: 2009
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80

Praying Mantis nasce nel 1977, da un’idea dei due fratelli Troy, Tino(chitarra) e Chris(basso). Il Loro primo demo viene passato dal famoso DJ heavy metal Neal Kay e da lì in poi è tutto in discesa: nel 1979 vede la luce il  maxi singolo The Soundhouse Tapes e un brano viene incluso nella mitica compilation Metal For Muthas, nel 1980. Il passo successivo vede la band impegnata come supporter nel primo Iron Maiden UK Tour e nel 1981 esce il leggendario debutto: Time Tells No Lies, ovvero quando l’Hard’n’Heavy si sublima scomodando, all’occorrenza, mostri sacri come Pink Floyd e Allman Brothers senza vendere l’anima – e le chitarre – al diavolo. Poi il Reading Festival, l’entrata nella line-up dell’ex batterista dei Maiden Clive Burr e il cambio del monicker in Stratus, testimoniato dal disco Throwing Shapes del 1985.

E’ del 1990 il ritorno con il vecchio nome e una line-up da urlo che prevede i famosissimi ex Vergine di Ferro Paul Di’Anno e Dennis Stratton, oltre a Bruce Bisland alla batteria. Durante il tour in Giappone viene registrato un disco dal vivo intitolato Live At Last. Seguono dei periodi piuttosto burrascosi che vedono diversi cambi all’interno della formazione e album discreti che però non fanno di certo gridare al miracolo, fino al 2007, dove i Nostri presenziano al Bang Your Head Festival e l’anno successivo all’Headbanger’s Open Air Festival, sempre in Germania, così come al Bloodstock Festival UK.

E’ l’inizio di una nuova giovinezza. La line-up – oltre ai due fondatori, gli storici Troy Bros – si compatta con Mike Freeland alla voce, Andy Burgess alla seconda chitarra e Benjy Reid alla batteria. Sanctuary, il nuovo disco oggetto della recensione, è registrato ad Atlanta(USA), con la produzione affidata ad Andy Reilly (Asia, The Cult, Bruce Dickinson, FM).

Il binomio posto in apertura spazza via di botto tutti i dubbi che legittimamente possono albergare nelle menti dei fan più apprensivi: la Mantide Religiosa britannica ha ancora molto da dire e non dimostra affatto il peso degli anni, quantomeno a livello di songwriting. In Time e Restless Heart coniugano al meglio la melodia e la durezza primitiva dell’Hard Rock, perpetuando ai posteri la magia che da sempre rappresenta la peculiarità dei Nostri, quantomeno nei momenti di “vena”. Dopo cotanto incipit sarebbe perdonabile un calo, che in realtà vi è solo in parte e nella fattispecie nei primi minuti di Tears In The Rain, che poi si risolleva grazie, al solito, alla classe innata del combo di Londra. So High è “solamente” un bel pezzo che fa del chorus ripetuto e insistito il suo punto di forza in una sorta di richiamo a quanto fatto spesso e volentieri in carriera da Axel Rudi Pell. Il primo lento si materializza in Lonely Way Home, come giustamente ci si potrebbe aspettare dal titolo. Tanto miele ma non solo: le radici British, quelle forgiate dalle mille battaglie della Nwobhm emergono quanto basta per distinguere il brano da un qualsiasi clone proveniente da altri lidi.

Il basso di Chris Troy dà il via alla veloce Touch The Rainbow, ancora una volta una cavalcata vincente che allunga le fila delle tacche positive di Sanctuary. Chitarre fantastiche disegnano le linee portanti di Threshold Of A Dream, ennesimo hit single di un disco che fino a questo momento mantiene un tiro fuor dal comune. Ottima la prova del singer Mike Freeland che conclude bene quello che deve e non cade nell’errore di voler strafare per poi inesorabilmente cadere di fronte agli assi del genere: Joe Lynn Turner, Jeff Scott Soto e Johnny Gioeli, tanto per citarne tre NON a caso. Detto fatto, Playing God è interessante e nulla più mentre in Highway i Praying Mantis giocano a fare i Def Leppard targati anni Ottanta, decisamente con meno successo dei colleghi di Sheffield, difendendosi comunque egregiamente. L’arduo compito di chiudere un album tanto ispirato è demandato agli oltre sei minuti della title track, che però delude per la ripetitività e la mancanza di fuochi d’artificio che ci si poteva immaginare.

L’accoppiamento delle Mantidi Religiose è stato spesso legato al simbolo del potere femminile negativo in quanto la femmina, dopo essersi accoppiata, o anche durante l’atto, divora il maschio partendo dalla testa mentre gli organi genitali proseguono nell’accoppiamento. Con Sanctuary la Praying Mantis albionica è tornata “in calore”, alla grande, talvolta non disdegnando ammiccamenti alle sonorità sdolcinate che tanto piacciono agli airplay targati Usa. Appuntamento per quindi all’ideale amplesso con i fan in quel del Play It Loud IV il prossimo venerdì 25 settembre, tenendo bene a freno gli ormoni…  

Stefano “Steven Rich” Ricetti

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Tracklist:
01. In Time
02. Restless Heart
03. Tears In The Rain
04. So High
05. Lonely Way Home
06. Touch The Rainbow
07. Threshold Of A Dream
08. Playing God
09. Highway
10. Sanctuary

Line-up:
Mike Freeland – Vocals
Andy Burgess – Guitars
Benjy Reid – Drums
Tino Troy – Guitars and Vocals
Chris Troy – Bass and Vocals

             

 

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