Recensione: Satan Spits On Children of Light

Di Matteo Orru - 13 Marzo 2019 - 0:03
Satan Spits On Children Of Light
Band: Devil Master
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2019
Nazione:
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60

Nonostante ai nostri occhi le fotografie promozionali della band si siano rivelate uno scempio di rara bruttezza, si è deciso di sfidare la sorte e di ascoltare questo disco rischiando la sanità uditiva.

Satan Spits On Children Of Light rappresenta il debut album sulla lunga distanza di questo particolare combo proveniente dagli Usa, per esattezza dallo stato della Pennsylvania, e se dicevano che mai bisogna giudicare un libro esclusivamente dalla copertina (anche se in effetti la cover vera e propria si presenta bella e macabra lasciando quasi intuire un disco black dal sapore occulto riaccendendo per un attimo in noi delle speranze), possiamo ipotizzare che con gli strumenti sappiano il fatto loro; facendo partire il disco in parte le perplessità vengono sia allontanate che confermate. Un equilibrio pericoloso che durerà per tutta l’opera..

I Devil Master da come si intuisce, sono giovani e rampanti ragazzi che hanno dalla loro parte la voglia di fare che spesso sfocia nello strafare (cosa che penalizzerà parte della la riuscita del platter) ma soprattutto la capacità, seppur ancora acerba, di coniugare dei generi così distanti tra loro facendo un tutto unitario di black metal primordiale (“alla Venom ed Hellhammer” per intenderci), sonorità punk, dark wave made in England e del classicissimo heavy metal; già solo a dirlo si perde il filo.

Satan Spits On Children Of Light, già il titolo è tutto un programma, apre le porte degli inferi con una sinistra intro ben riuscita che ci fa acclimatare sulle sonorità acide di questo sali e scendi stile luna park dell’orrore. Un sinistro pianoforte tesse le note per la strada verso il non ritorno che si fa ben definita con la opener vera e propria, Nightmares In The Human Collaps: chitarre incrociate dal flavour classicamente ottantiano tendente al darkeggiante che tanto sta tornando di moda adesso e la voce prende il sopravvento lasciandoci spiazzati e risultando leggermente fuori luogo per ciò che si vorrebbe proporre.

Se nelle song come Black Flame Candle, o la oscura Skeleton Hands con quei riff sapientemente punkeggianti che ricamano melodie sottotraccia e ci fan tornare in mente le feste di Halloween trascorse tra dolcetti, scherzetti e birrette, lo scream ci calza a pennello, rendendo la proposta ancora più aggressiva di quanto lo sia, mentre in altri episodi come la sopra citata opener oppure la pseudo melodica Desperate Shadow tende a risultare eccessivamente monocorde e non all’altezza penalizzando la riuscita delle song che prendono maggiore ispirazione dal lato più gotico dei ragazzi e quell’esecuzione più ragionata e intima tralasciando l’irruenza del punk che ha sempre e comunque un ruolo da assoluto protagonista.

Il disco scorre tutto sommato in maniera piacevole e con personalità ma, canzone dopo canzone, prevale quella sensazione che manchi sempre qualcosa, oppure che quel qualcosa ci sia ma si trova nel posto sbagliato. Elementi non trascurabili per poter valutare positivamente un disco ma che trovano attenuanti considerata la giovane età media della band e la loro voglia di rischiare, di spingersi oltre, di cercare soluzioni che seppur non possono essere definite pioneristiche hanno comunque un retrogusto di non convenzionale.

Spesso e volentieri ci si rende conto che l’obbiettivo della band grazie alla breve durata dei brani è quello di stupire con l’immediatezza del punk anni ottanta, la rabbia del proto black ma al contempo affascinare e avvolgere con le note calde e suadenti del goth dark di scuola inglese rendendo l’ascolto un viaggio in acido per meandri psichedelici tra fantasmi, vampiri, arlecchini e pagliacci strafatti di MdMa. La strega dal grande cappello mescola nel suo pentolone tutti gli ingredienti che questi ragazzi han buttato fuori tramite i loro strumenti sgangherati in maniera a volte elementare e ne fa una poltiglia verde con le bolle fuxia da bere tutta d’un fiato e farci trasportare dai suoni malati dei Devil Master.

Un disco acerbo, elementare e penalizzato da una produzione davvero mediocre ma oscuro e horrorifico che non si accontenta di fare il compitino richiesto dalla maestra da svolgere a casa; cerca di andare oltre e in alcuni casi ci riesce alla grande, in altri pecca di ingordigia tendendo ad assomigliare più che a singole canzoni, all’infuso diabolico preparato dalla strega di qui sopra, confusionario e disordinato.

I ragazzi sono giovani e si faranno, pertanto è ammirevole che oggigiorno ci siano delle band che si mettono in gioco percorrendo la strada più complicata del non allinearsi alla moltitudine proponendo un disco che sì, non inventa nulla di nuovo, ma almeno non fotocopia le classiche band più blasonate assumendosene tutti i rischi e i pericoli.

 

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