Recensione: Season in silence

Di Francesco Sorricaro - 27 Marzo 2010 - 0:00
Season in silence
Band: Sadist
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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79

Sadist: da sempre uno dei monicker italiani più rispettati ed apprezzati a livello nazionale ed internazionale, perchè Tommy Talamanca e soci hanno avuto il pregio di imporre fin da subito un proprio stile ben riconoscibile, sapendo spingersi costantemente oltre i paletti piantati, senza paura alcuna delle conseguenze. Il loro ritorno in grande stile sulle scene di qualche anno fa aveva fatto urlare di gioia migliaia di appassionati della branchia più tecnica del death metal, i quali vedono ancora oggi nella band genovese il corrispettivo italiano della sacra triade Atheist-Cynic-Pestilence; e l’omonimo album, realizzato per l’occasione, non aveva tradito le attese, segnando una simbolica quanto decisa riconquista del trono con brani violenti e tecnici al punto giusto, con una forte attitudine live.

I Sadist del 2010, passata la sbornia da rientro in partita e rodati da qualche migliaio di chilometri trascorsi on the road in tutta Europa, riprendono decisamente il discorso evolutivo intrapreso. Il nuovo capitolo è intitolato Season in silence e vede un filo conduttore ben preciso attraversare le liriche e le atmosfere di tutti e 12 i brani: la dedica è al buon vecchio “Generale Inverno”.

Và subito detto che questo disco, come spesso è capitato agli autori di Tribe, anche per le motivazioni di cui sopra, presenta luci ed ombre disseminate equamente tra i solchi ma, di sicuro, risulta essere alla fine uno degli album più eleganti della loro discografia; eleganza che viene dritta dritta dagli arrangiamenti del mastermind Tommy Talamanca, mai così ispirato nel cesellare quegli intermezzi gustosamente nascosti nella brutalità e quegli spettrali tappeti tastieristici che sono il profumo imprescindibile del marchio Sadist.

Dopo le agghiaccianti keyboard introduttive di Aput, si parte a sprombattuto con il controtempo di Broken and reborn: canonica scarica di aggressività firmata Trevor che, con il suo screaming abrasivo, quasi sovrasta i riff acrobatici di Tommy fino all’incedere maestoso del finale. La titletrack è una cavalcata Sadist al 100%, veloce e diretta, che prende fiato improvvisamente con un delicato duetto pianoforte/basso che farà strabuzzare gli occhi a molti. Si prosegue con The Attic and the World of Emotions, traccia cadenzata e potente che a molti ricorderà i Carcass soprattutto per alcuni tratti del cantato di Trevor, e con Evil Birds, uno dei pezzi più validi e variegati del lotto, pur nella sua brevità, che farà probabilmente discutere più per le clean vocals che per l’eccezionale lavoro al basso di un Andy Marchini in grande spolvero. Il bassista dei Sadist è ispiratissimo e dona perle di tecnica per tutta la durata del platter ma, inspiegabilmente, un mixing non troppo equilibrato, penalizza molto l’apprezzabilità del suo strumento, favorendo maggiormente chitarra e voce nella maggiorparte dei casi, e questo è un piccolo peccato per le nostre orecchie.
Coinvolgente la strumentale Ogron posta a metà percorso che prepara ai ritmi sincopati di Night Owl, uno degli episodi più spiazzanti di Season in silence, con i suoi tempi latineggianti che si fondono con intermezzi jazzati disegnati con classe dalla coppia Marchini/Spallarossa mentre un lamento spettrale risuona sullo sfondo.

La morsa del ghiaccio si stringe sulle assordanti note, taglienti come stalattiti, di Snowman, traccia nella quale Trevor mette in mostra tutta la malefica teatralità della sua voce nell’interpretare il mostruoso e poco rassicurante protagonista della cover dell’album disegnata da Davide Nadalin. Da qui in poi sembra di ascoltare la vera, definitiva svolta del disco, per quanto riguarda sonorità e contaminazioni e dunque, passando per le tabla che dettano il ritmo portante della successiva Bloody Cold Winter si arriva alla doppietta decisiva, al piatto forte posto in conclusione del pranzo. Il ritmo mozzafiato del pianoforte che introduce The Abyss lancia l’ascoltatore in una centrifuga vorticosa da incubo dal quale la chitarra di Tommy ci tira fuori sul finale con una malinconica melodia in crescendo. Si tratta di un vero e proprio highlight, tra le più particolari e belle tracce mai scritte dai Sadist, una sicura hit del futuro, dove tutti gli elementi danno fondo all’intero bagaglio tecnico in proprio possesso. Frozen hands parte lenta e pacata, ma è il preludio di un climax emotivo messo in standby solo per un attimo da un bridge schizofrenico, durante il quale controtempo si somma a controtempo in una follia collettiva che dura poco meno di un minuto. Il countdown ricomincia con l’ultimo cantato pulito di Trevor che recita cupi versi di terrore prima di cominciare l’ennesima scalata emotiva che si concluderà con un lungo straziante urlo, prima delle battute finali e del fade-out che condurrà, poi, all’ultima strumentale conclusiva, Hiberna: una chitarra acustica che si perde nel soffio glaciale del vento.

I Sadist confermano in quest’album tutto il loro valore ed il loro ottimo momento d’ispirazione in un disco che prende l’Inverno come cornice e metafora di malattie del nostro tempo come l’isolamento, la solitudine e la paranoia, riuscendo perfettamente a mettere in scena, con atmosfere orrorifiche e disturbanti melodie infantili, il misterioso e terribilmente silenzioso potere della natura e, allo stesso tempo, l’oscurità che aleggia dentro ognuno di noi in attesa solo di manifestarsi.

L’impressione di fondo che rimane è quella di una grande e diffusa ricercatezza nella scelta dei suoni, tanto è vero che, ad un certo punto, ci si ritrova ad attendere con ansia, in ogni brano, il momento del fraseggio particolare di tastiera, o di qualche altro strumento estemporaneo, che solletichi la nostra voglia di nuove ricette artistiche. L’impatto di un disco come Tribe, per chi cercherà a tutti i costi, immancabilmente, questo confronto, è forse irripetibile, considerato anche il diverso periodo storico cui ci andiamo a rapportare, ma comunque c’è da dire che quei pezzi avevano una scioglievolezza, una compattezza ed un’acredine primordiale che in Season in silence non si trova. Questo è un disco che presenta delle ottime intuizioni accostate ad episodi meno fantasiosi e freschi. Probabilmente si potrà parlare di un album di transizione verso nuove evoluzioni stilistiche; quel che è certo è che farà parlare di sè, e del resto è questo che i Sadist hanno sempre fatto. 

Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro

 

Tracklist
01. Aput  02:10 
02. Broken and Reborn  04:06 
03. Season in Silence  05:02 
04. The Attic and the World of Emotions  04:26 
05. Evil Birds  03:23 
06. Ogron  03:03 
07. Night Owl  04:03 
08. Snowman  04:19 
09. Bloody Cold Winter  03:26 
10. The Abyss  04:13 
11. Frozen Hands  05:31 
12. Hiberna  02:52
 
Total playing time  46:34

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