Recensione: Seven Heads, Ten Horns

Di Vittorio Cafiero - 1 Maggio 2016 - 0:47
Seven Heads, Ten Horns
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2016
Nazione:
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85

“…Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna. La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle, teneva in mano una coppa d’oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione. Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: Babilonia la grande…”

(Apocalisse, 17:3-5)

Tornano i cantori dell’Apocalisse: dopo aver esplorato i meandri delle umane debolezze nell’esordio Days Of Nothing, la paura dell’olocausto nucleare in Oionos e la distopica reatà di un mondo post-catastrofico in Second World, i The Foreshadowing si ripresentano con il quarto lavoro Seven Heads, Ten Horns, che già dall’impegnativo titolo prepara ad un ascolto che non può e non deve essere superficiale. Questa volta, utilizzano la metafora biblica per rappresentare l’odierna Europa, una moderna Babilonia solo apparentemente ricca di culture e differenze – ma di fatto teatro di contrasti e paradossi – pronta a capitolare sotto i colpi di una realtà fatta di scontri, astio e intolleranze. Concept attuale e complicato; proprio per questo i Romani non si limitano all’approfondimento lirico, ma scelgono di andare oltre anche a livello musicale: se il debut album era un piccolo gioiello di gothic metal a tinte doom e nel secondo i toni oscuri si erano addirittura appesantiti, con Second World i The Foreshadowing avevano raccolto quanto di buono seminato costruendo un album-manifesto del loro stile. Ora, con il quarto e presente album non si fermano e vanno decisamente oltre, apportando una serie di modifiche immediatamente percepibili. Partendo dalla produzione, la band ha deciso di privarsi dei servizi di Dan Swano e dei suoi Unisound Studios per affidare mix e masterizzazione ai fratelli Wieslawski presso gli Hertz Studios (Behemoth, Vader, Decapitated, la Mecca per l’extreme metal polacco): scelta che indica la voglia di staccarsi dal passato e il risultato si sente: la resa sonora è più ariosa, ricca di nuove sfaccettature prima solo abbozzate; non che le produzioni precedenti fossero scadenti – sia chiaro, ma si sente l’evoluzione di chi sta cercando di crescere e di aprirsi e di andare oltre il classico doom metal fatto di riff pachidermici e ritmiche basilari. Tale crescita si manifesta anche negli arrangiamenti, mai così ricercati ed approfonditi, “multistrato” se è concesso il termine, come se in fase di scrittura la band fosse tornata più volte su ciascun passaggio, con l’obiettivo di renderlo variegato e personalizzato. Innegabile, a parere di chi scrive, che dietro tale progresso ci sia anche l’entrata in line-up di Giuseppe Orlando alla batteria che, ormai fuoriuscito dai Novembre, valorizza ancora di più il ruolo del suo strumento nei The Foreshadowing, arricchendo tutto il lavoro di fill assolutamente personali. Progressione e personalità sono caratteristiche che si notano fin da Ishtar, introduzione strumentale impreziosita dalla presenza di strumenti folk e di atmosfere etniche, che letteralmente esplode nella successiva Fall Of Heroes: le torri d’avorio del Vecchio Continente vengono dipinte con maestosità e potenza, proprio come l’incedere del pezzo, decisamente heavy e ritmato, ciononostante dotato di un ottimo lavoro sulle armonizzazioni, sia vocali che strumentali, che fanno da tappeto all’intero pezzo. Two Horizons, primissimo pezzo ad essere presentato come anteprima dell’album, forse anche per il fatto che è quello che si distacca meno dal passato, vede la band alle prese con le atmosfere doom che le sono più congeniali e con un songwriting funzionale e ben riuscito.

Ancora una volta fondamentale l’apporto di Marco Benevento, vocalist abbastanza unico nel suo genere e difficilmente avvicinabile ad altri come timbro e personalità: sarà la produzione, sarà il songwriting, ma adesso più di prima sembra al centro della scena e gioco forza le melodie vocali hanno un ruolo di primo piano, accompagnate dalle tastiere di Francesco Sosto, che sanno essere sempre presenti senza mai lasciarsi andare in pretenziosi e forzati solismi. Melodia ed armonia trovano la loro sublimazione in 17, anch’esso presentato in anteprima come lyric video, ricco di novità: “accessibilità” sarebbe un termine forse eccessivo, meglio probabilmente parlare di “apertura” verso soluzioni di più ampio respiro, che vedono, appunto, le parti vocali sugli scudi, più ‘cantate’ nel senso classico del termine e con un chourus decisamente ficcante. Particolare anche l’intermezzo strumentale verso i tre/quarti del pezzo. In un ipotetico continuum musicale, Benevento rimane protagonista nella successiva Until We Fail, una sorta di doom-ballad ancora più accorata del solito. Sembrerebbe più di routine Martyrdom, con il suo avvio che non può non ricordare i Paradise Lost del mai troppo laudato Icon, eppure, anche in questo caso l’ascoltatore rimane colpito dalla chiusura affidata nientemeno che ad un coro di voci bianche. Ci si avvia verso la fine dell’album, che i The Foreshadowing decidono coraggiosamente di completare con Nimrod, una suite di quattordici minuti divisa in quattro parti; meglio evitare l’accurata descrizione di questo sforzo tradotto in musica e lasciare il piacere della scoperta di un caleidoscopio di sensazioni, dove la band davvero non si pone limiti di sorta, costruendo l’ipotetica colonna sonora dell’ascesa e del declino della Torre di Babele, metafora dell’odierno Vecchio Continente.

Con Seven Heads, Ten Horns i The Foreshadowing ritornano con un lavoro qualitativamente in linea con il passato, ma che dimostra la voglia di non rimanere fermi su posizioni ben colladaute. Quattro album nello stesso genere, eppure ben distinti e riconoscibili tra loro, dimostrano che la personalità per emergere dalla massa certamente non manca. Personalità che ora sarebbe opportuno sublimare attraverso un’attività live costante o comunque significativa che ad un gruppo del genere deve essere concessa.         

Vittorio Cafiero

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