Recensione: Severance

Di Matteo Di Leo - 2 Dicembre 2013 - 1:01
Severance
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2013
Nazione:
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50

 
 
La fremente scena metalcore britannica sembra creare band a gettito continuo ed Heart of a Coward è un altro nome sputato fuori dalla terra di Albione. Un debutto nient’altro che sufficiente come “Hope And Hindrance” di un anno fa è comunque valso ai londinesi un contratto con la Century Media che licenzia questo “Severance”.
 
Nulla di nuovo giunge da ovest, visto che siamo di fronte all’ennesimo gruppo metalcore incapace di apportare novità al settore o segnalarsi per qualsivoglia peculiarità personale. Di questa stagnante situazione nessuno pare curarsi più di tanto ma urge una scossa se non si vuole che l’intera scena collassi su se stessa.
 
Per gli H.O.A.C. vale lo stesso discorso fatto alcuni mesi fa per i Bleed From Within (guarda caso, anche loro entrati nella scuderia dell’etichetta tedesca): non basta saper suonare, avere una produzione di tutto rispetto ed essere “pompati” (come da tradizione) dai magazine nazionali se poi non riesci a tirare fuori una quarantina di minuti di musica avvincente e personale.
 
Riesco indubbiamente ad apprezzare l’affiatamento delle due chitarre, una a fare il “lavoro sporco” della ritmica e l’altra a cercare melodie per lo più alienanti, così come la potenza dell’accoppiata basso-batteria e l’ottimo scream di Jamie, ma al termine dell’ascolto mi rimane veramente poco.
 
Quel poco è rappresentato da brani come “Deadweight”  e il suo riff portante che fa centro sin dal primo ascolto; e ancora le più melodiche “Prey” e “Distance” nel cui inizio il cantato mi ha ricordato non poco il Chino Moreno più paranoico.
 
Ma sinceramente, è poca cosa. Per il resto, gli H.O.A.C. si limitano a mostrare i muscoli avendo però la personalità di uno zerbino e per di più non pestano mai sulla velocità giocandosi il tutto su tempi medi che acuiscono il grigiore che sovrasta su tutto l’album.
 
Quindi, almeno che non siate dei fan sfegatati del genere ed inoltre non soffriate di manie da collezionismo, lasciate pure perdere questo CD. Rimanendo in Inghilterra, come si dice in questi casi: for fanatics only.

Matteo Di Leo

 

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