Recensione: Sharing Is Caring

Di Daniele D'Adamo - 3 Dicembre 2021 - 0:00

Quinto full-length in carriera per i cechi Cutterred Flesh. Carriera ormai ventennale che ha mostrato una costante voglia di mutare nel tanto intricato quanto ortodosso territorio del brutal death metal.

Tant’è che, lungi da eresie varie, al suddetto termine si può accostare l’aggettivo progressive. Un continuo e graduale incremento dell’inserimento di elementi atti a creare, con “Sharing Is Caring”, uno stile piuttosto originale. Il quale aderisce alla band in maniera pressoché perfetta, sì da donare alla medesima una foggia grazie alla quale l’individuazione anagrafica avviene con relativa facilità. Non sono poi, molti, insomma, a proporre questa tipologia musicale con tali differenziazioni.

Al contrario di quanto accade per il suono, i temi sviluppati per i testi non mostrano differenze dalla truculenza pura; una delle caratteristiche principali, e più abusate, del brutal. Tradizionalmente impegnato a girovagare fra autopsie, corpi in decomposizione, torture, smembramenti. Del resto, trattasi di un qualcosa che non si può strappare dalle menti che scrivono le liriche. Il brutal è brutal grazie, anche, a questo specifico, inamovibile aspetto.

La rinuncia all’inhale da parte di Jirka Krš per un controllato, stentoreo, roco growling, assai aggressivo, è già sintomo di un’interpretazione vocale volta a tentare di uscire dai soliti schemi, da cliché triti e ritriti. Niente suini nel cortile dei Cutterred Flesh, quindi. Il resto del brutal, però, c’è, anche se fluisce fra i filtri artistici imposti dal combo di Karlovy Vary. L’impatto frontale è esasperato da un riffing complesso, raffinato, che spezza le reni. Vitalij Novák e David Krombholz sono chitarristi dalla tecnica sopraffina, sia nella fase ritmica, sia in quella solista. La presenza di una sezione di spinta a volte violentissima (‘Knife Is Not the Enemy’), in grado di frantumare le ossa con micidiali sfuriate di blast-beats e tuoni di basso, connota al sound prodotto una potenza enorme, idealmente in grado di fare a pezzettini le carni. Non solo, i pattern di batteria sono dannatamente complicati, non-lineari, aggrovigliati fra loro per il massimo della abilità esecutiva.

Altre intrusioni che spingono l’LP verso una forma più evoluta rispetto alla media del genere sono i campionamenti ambient, appena appena percepibili, capaci tuttavia di inspessire il tutto. Non è un qualcosa di strabiliante, questo no, però si spezza un po’ la monotonia di un mood sempre e solo duro e arcigno. Così facendo, i Nostri movimentano meglio le varie canzoni, rendendole distinguibili le une dalle altre.

E poi… la dissonanza. Non tanto in se stessa, quanto nel suo utilizzo. Dissonanza che, come una piovra, avvolge il disco con i suoi tentacoli, con un flavour progressive ben percepibile, per esempio, nell’opener-track ‘Vibrio Vulnificus’. Ove, sempre per esempio, si possono udire echi di Voivod, oltre a break scanditi dalla drum machine. Nel loro moto attorno al centro del platter, circostanza interessante, questi accidenti musicali sfiorano a volte embrioni di tenebrosa melodia (‘Black Aurora’). Un tentativo riuscito, anche in questo caso, volto a salire lungo le pedate della scala evoluzionistica.

La traccia che meglio esprime questi concetti è certamente ‘Where Only Old Flesh Stinks’, introdotta da un lento arpeggio, salvo poi scatenarsi in direzione di spaventosi numeri di BPM per poi rallentare nuovamente assumendo l’andamento di un morbido, dolce mid-tempo in occasione del ritornello.

Il brutal death metal è un sottogenere del death praticamente immobile, nel senso che i suoi dettami sono rigidissimi, intoccabili nei lori disegni definiti in modo apparentemente definitivo. Apparentemente, poiché i Cutterred Flesh dimostrano, con “Sharing Is Caring”, che non esiste nulla che non possa essere emancipato. Con ciò, dando vita a qualcosa che, come primo assaggio, risulta assai ostico da masticare ma che, a mano a mano che si susseguono gli ascolti, mostra la sua vera, intima natura. Probabilmente ci sono ancora dei margini di miglioramento, in tale graduale operazione, ma le basi sono state gettate.

Progressive brutal death metal. Perché no?

Daniele “dani66” D’Adamo

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