Recensione: Shark Attack

Di Nicola Furlan - 28 Febbraio 2009 - 0:00
Shark Attack
Band: Wehrmacht
Etichetta:
Genere:
Anno: 1987
Nazione:
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70

Nel 1985, a Portland nell’Oregon, si forma una band destinata a lasciare un segno nella storia della musica estrema. Saranno in pochi a ricordarli: stiamo parlando dei Wehrmacht. Con questo debutto discografico la band statunitense evidenzia uno dei tanti punti di convergenza tra l’hardcore più incontrollato e il thrash metal, che in quegli anni riscuoteva ampi consensi da parte dei nuovi ascoltatori e dalla critica. Se (mi si passi il termine rudimentale) lo “extreme crossover” degli S.O.D. ipotizzava di far interagire con successo thrash e sperimentazione punk oriented, è forse con “Shark Attack” che si evince la reale possibilità di portare all’estremo, attraverso il thrash, l’hardcore stesso. Questo disco è infatti un concentrato esplosivo di grezzo e rugginoso metallo dalle tinte hardcore, a volte eccessivo a causa di una produzione al limite dell’accettabile.

Nonostante tutto, il prodotto appare innovativo nei suoi estremismi, quasi assimilabile a una sorta di primitivo grindcore. La voce graffiante di Phillip ‘Tito’ Matos si sposa felicemente con le stridenti sei corde del duo Zorich/Duffy, connubio incorniciato dal martellante supporto ritmico operato da Mortimer e Lehfeldt. Così nasce il massacro sonoro contenuto in “Shark Attack”. Così come fecero i Napalm Death per il punk, i Wehrmacht fecero per una delle molte evoluzioni del thrash metal. I primi intrepretarono i dettami della punk/hardcore school britannica, i secondi si pescarono dai comparti ritmici del thrashcore.

La maggior parte delle canzoni non supera i 3 minuti e incentra i testi su tematiche alcoliche e pseudo-horror: questo la dice lunga sugli orientamenti compositivi che hanno indirizzato il songwriting. Nasce quindi una musica diretta e insolente, furiosa e grezza quanto la più becera delle offese. Ai tempi, il materiale fece la felicità di una sola fetta di pubblico, non certo quella più attenta alla cura del suono e tantomeno agli arrangiamenti. Se quello di accendere gli animi era, all’origine, uno degli obiettivi primari del combo, il loro “Shark Attack” colpì nel segno come pochi full length dell’epoca riuscirono a fare.

Ascoltate questi scarsi trentacinque minuti di musica e comprenderete il significato musicale delle pratiche, tanto care ancor’oggi, di pogo e stage diving. Poca carne al fuoco, ma capace di sfamare quella piccola cerchia di fans tanto amanti dei frangenti più estremi che la corrente thrash metal abbia concepito. È altresì certo che brani come la cacofonica title track, l’estrema Jabberjaw, l’impattante United Shoebrothers piuttosto che la corrosiva Napalm Shower o la strumentale Fretboard Gymnastics rappresentano quanto di meglio il vero headbanger potesse attendersi da uno show dal vivo. È la sede live infatti il metro di giudizio al quale far riferimento; state quindi in camapana perchè la band si è riunita proprio quest’anno!
 
Chiamatelo thrashcore o grindcore, questa poltiglia massacrata passa anche da “Shark Attack”.

Parlianome sul forum, nel topic relativo alla scena thrash underground!

Nicola Furlan

Tracklist:
01 Shark Attack 
02 Blow You Away 
03 S.O.P. 
04 Jabberjaw 
05 Barrage of Skankers 
06 United Shoebrothers
07 Part II…. 
08 Go Home 
09 Anti 
10 Napalm Shower 
11 Crazy Ways People Die 
12 Fretboard Gymnastics
13 Termination 

Line up:
Phillip ‘Tito’ Matos: voce
John Duffy: chitarra 
Marco ‘Sharko’ Zorich: chitarra
Shann Mortimer: bassof
Brian Lehfeldt: batteria

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