Recensione: Skithingi

Di Daniele Balestrieri - 25 Marzo 2007 - 0:00
Skithingi
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Anno: 2006
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50

Correva il 2005, e con l’ottimo Jul gli XIV Dark Centuries ci avevano lasciati con la promessa di un ritorno trionfale nel mondo del pagan-power-folk a fianco di nomi del calibro di Equilibrium, Falkenbach, Turisas e di tutti quelli che da dieci anni a questa parte fanno garrire ai venti tempestosi lo stendardo dell’heaten battle metal.
Questo Skithingi sembrava non voler arrivare mai, e invece un giorno d’estate i mastodontici vascelli della Perverted Taste hanno depositato nei negozi quest’album, ben confezionato, contenuto in una sleeve ben curata, che avrebbe dovuto ascrivere gli ancora semi-sconosciuti XIV Dark Centuries nel valhalla che tanto anelavano.
E sarebbe davvero bello dare un lieto fine a questa favola dei sei guerrieri in cerca di un posto nel lungo banchetto divino accanto agli Ensiferum o ai Thrudvangar, ma tuttavia non è un mistero che ogni tanto le leggende inizino male e finiscano ancora peggio.

Tanto per cominciare con una nota leggera, sia la custodia che il libretto, ma soprattutto la serigrafia del CD, hanno un qualcosa di già visto, di già sentito… e al viking/folk metaller più smaliziato non potranno fare a meno di riportare alla mente il packaging di Blot, il famigerato album che sancì la morte repentina dei compianti Einherjer, soffocati dagli gli sguardi imbarazzati dei loro fan che non riconoscevano più in quell’accozzaglia di suoni la band che li aveva fatti sognare con Dragons of the North e Odin Owns Ye All.
Certo l’abito non fa il monaco, ma questa somiglianza piuttosto evidente non può non far squillare un campanello d’allarme nella testa di chi già una volta è rimasto scottato da quella che riteneva una delle band più promettente del pagan mondiale.
Scaramanzia a parte, che gli XIV Dark Centuries abbiano voluto dare il meglio di sé è abbastanza palese, visto che Skithingi consta di ben 14 tracce, tutte relativamente brevi (3-4 minuti massimo) e tutte con la solita struttura: breve intro epica, dodici cavalcate nei campi di battaglia della Thuringia e outro malinconica. Con questo si può tranquillamente dire che gli XIV Dark Centuries siano “una garanzia” dell’heathen battle metal, e come lo si può negare? La band è nata con tutti i crismi del caso, basti guardare le copertine esplicite, le foto promozionali (musicisti ricoperti di pellicce attorno a un falò, neve da tutte le parti e un arsenale bellico da far invidia a Carlo Magno) e la gente che li va a vedere ai concerti: le stesse facce che si ritrovano davanti a Turisas, Ensiferum, Equilibrium e via discorrendo. E il problema è proprio questo: purtroppo nel genere non c’è più bisogno di una garanzia, perché di garanzie ne abbiamo fin troppe, e tutte di ottimo livello.
Fuori dalla porta degli XIV Dark Centuries c’è un mondo intero di band epic-war-viking che fanno il loro lavoro molto meglio e in maniera molto più originale, e con una concorrenza sanguinaria come questa, com’è possibile che si riducano a utilizzare una drum machine di qualità talmente ignobile da distruggere intere canzoni, “Die ewigen Wälder” su tutte? Non è più accettabile ascoltare questo genere di metal evocativo con la sensazione di essere circondati da 50 segretarie che battono furiosamente a macchina. Il lavoro di percussioni per tutta la durata dell’album è dannatamente scarso, e questo non fa altro che trascinare verso il basso un lavoro che a grandi linee funziona, grazie a melodie ben congegnate e a un cantato pertinente e di buon gusto, sempre oscillante tra scream, voci pulite e gli immancabili cori epici. Le strumentazioni sono valide, e le cavalcate power si alternano ai momenti più folk con una sapienza evidentemente ben rodata dai molti anni in cui il genere è fiorito e ha dato i propri frutti in giro per il nord Europa.

La fretta della release li ha probabilmente rovinati e gli ha impedito nuovamente di uscire dall’anonimato dell’underground, una cosa ancor più fastidiosa se si pensa al notevole trampolino che avevano costruito con Jul.
Se avessero ritardato di un anno l’uscita di questo Skithingi e avessero utilizzato l’ottimo sessionist che sfruttano in sede live, probabilmente l’album avrebbe acquisito un valore maggiore, pur comunque rimanendo saldamente ancorato alla melma delle melodie un po’ sui generis che impregnano l’intera esperienza offerta.
Ormai è il 2007, e di “hey!” in mezzo alle canzoni ne abbiamo avuti a sufficienza. Ci vuole qualcosa di più di un paio di tracce epiche, un paio di mid-tempo e un paio di ballate folk per emergere al livello delle teste di serie. Laddove gli Equilibrium vantano un cantante micidiale, i Turisas sfoggiano dei giri di tastiera da far impallidire i Thyrfing di Valdr Galga e i Thrudvangar pescano nel black metal più feroce per brillare di luce propria, gli XIV Dark Centuries si ritrovano totalmente all’ombra di questi alberi colossali, per di più quasi tutti provenienti dalla loro stessa nazione, e annaspano nell’impossibilità di godere di quel sole che ha reso celebri i loro compatrioti. Con Jul (e con Dunkle Jahrhunderte) avevano già intrapreso il sentiero del romanticismo alla Odroerir intervallato da accelerazioni secche di grande scuola Mithotyniana, mentre con questo Skithingi si sono gettati in un fiume troppo largo che purtroppo li sta trascinando via.

Con questo non voglio dire che quest’album sia da buttare, sia chiaro: se si trascura l’atroce lavoro di batteria e il propagarsi di una diffusa sensazione di deja-vu, Skithingi può offrire delle canzoni di buon impatto momentaneo (degne di menzione sono le furiose “Ahnenland” e “Skiltfolk“) che non mancheranno di esaltare quelli che vivono per il war metal e che si esaltano al pensiero di furiose battaglie barbariche ogni volta come fosse l’ultimo giorno della propria vita. A loro è dedicato Skithingi, a quelli che conoscono a memoria Iron, Turis Fratyr, Battle Metal e che hanno contato tutte le vocali contenute nei testi di Ziuwari.
Per tutti gli altri direi che al momento non è un album stabile e sufficientemente valido da spenderci sopra quindici euro; la batteria e la registrazione fuligginosa e confusa trascinano il voto ancor di più verso il basso, tuttavia la luce di Jul e dei lavori precedenti mi lascia sperare che non tutto sia perduto: se l’acquisto di quest’album sarà servito a mandarli avanti, allora avremo speso questi soldi per una giusta causa. Tutti meritano un’altra chance, più che mai i nostri sei “thuringioti”.

TRACKLIST:

01. Südwärts
02. Toringi
03. Louvia – Die ewigen Wälder
04. Thing
05. Skiltfolk
06. Bardensang – Eschenhain
07. Herzyn Harug
08. Runibergun
09. Silbermährn
10. Ahnenland
11. Bardensang – Balderes Wolon
12. Skithingi
13. Warnenkrieg
14. Hwerenofelda

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