Recensione: Souls

Con il loro terzo album, intitolato “Souls”, la band israeliana Scardust dimostra una maturità artistica notevole, mantenendo l’inconfondibile impronta progressive-symphonic metal del suo sound, osando sfidare al contempo la propria comfort zone per abbracciare una narrazione più lirica e cinematografica.
La produzione è curata nei minimi dettagli, esaltando ogni sfumatura di questo sound più raffinato. La chitarra di Yadin Moyal si fa più virtuosa ma anche più espressiva, alternando riff potenti a passaggi acustici di rara bellezza. La sezione ritmica, composta dal batterista Yoav Weinberg e dal bassista Davidavi Dolev, è solida e dinamica, capace di sostenere sia i momenti più aggressivi sia quelli più delicati. La voce di Noa Gruman, vera e propria protagonista del disco, si muove con agilità tra registri operistici e linee melodiche più pop-oriented, dimostrando una versatilità e un’espressività che la pongono tra le migliori voci del genere. Veniamo al track by track.
“Long Forgotten Song” è un opener mette in chiaro fin da subito le qualità della band israeliana. Potenza, ricerca melodica, arrangiamenti orchestrali (che richiamano certi Vanden Plas ma non solo), questi gli ingredienti del sound degli Scardust. Il tutto suona raffinato e la cura per i dettagli è notevole, senza contare il valore aggiunto della voce di Noa Gruman, che imprime un quid ulteriore in fatto di incisività e originalità.
“My Haven”, invece, è una delle tracce più potenti e dirette del disco. Il brano esplode in un mix di progressive metal e power metal, con riff incisivi e un ritornello orecchiabile quanto atipico. La voce di Noa qui sfoggia tutta la sua potenza, senza rinunciare a momenti di grande dolcezza, tra falsetti e strofe tiratissime. Da menzionare l’assolo di basso all’inizio del terzo minuto.
In “RIP” le atmosfere sono cupo e introspettive. L’atmosfera si fa più tesa e l’arrangiamento si arricchisce di sfumature orientaleggianti e industrial. Il growl di Noa torna a farsi sentire, alternandosi a un cantato pulito e quasi teatrale. Vengono in mente i Subterranean Masquerade e gli UnExpect come possibili influenze musicali. Decisamente un prog metal moderno e con la giusta potenza.
Segue la breve “Dazzling Darkness”, ballad dal titolo con ossimoro che si muove su territori progressive, con cambi di tempo e arrangiamenti intricati. Nonostante la complessità, il brano mantiene una forte vena melodica e l’eclettismo targato Scardust.
In “Unreachable” il mix tra elementi sinfonici e metal vede una riuscita collaborazione con la TLV Orchestra. L’orchestrazione (anche con strumenti folk) è benfatta e la voce di Noa si fa più epica e magniloquente. È un pezzo che evoca immagini di battaglie interiori e paesaggi vasti e desolati. Segnaliamo il bridge, un momento di pura bellezza, con un’interazione tra voce e archi che tocca le corde dell’anima. Merita anche il video realizzato ad hoc.
Siamo a metà dell’album. “End Of The World” è la traccia più breve in scaletta. In poco più di 120 secondi si rivela carica di pathos ed evocativa, come un intermezzo dei Nightwish più poetici. Prima della suite finale, come momento di pausa e riflessione che prepara all’epica conclusione del disco, è la volta di “Searing Echoes”, composizione eterea e sognante, che rallenta il ritmo del disco. Oltre alla voce cristallina di Noa (non sfigurerebbe in band come Epica o Edenbridge) compaiono alcuni inserti di violino opera della special guest Ally Storch (Subway to Sally), che nel finale del brano duella a suon di assoli infuocati con la chitarra di Gal Gabriel Israel.
E siamo al magnum opus, la suite in tre parti “Touch Of Life”, che racchiude il meglio degli Scardust.
La prima parte, In Your Eyes, dà avvio alle danze in modo pomposo e con voci in clean. Trovare Ross Jennings (Haken) come ospite è una piacevole sorpresa. “Dance Of Creation”, secondo movimento della suite, stupisce nella parte centrale, con i vocalizzi arditi di Noa, in un’exploit di energia e creatività. Tutto confluisce infine in King Of Insanity, la maestosa conclusione dell’album. Il brano fonde tutti gli elementi del disco in un climax finale. I primi momenti sono goduria pura, sembra di ascoltare i Dream Theater dell’era Sherinian. C’è spazio anche per il growl di Noa accostato alla voce di Ross Jennings, cosa chiedere di più?
Questo nuovo “Souls”, in definitiva, è un passo in avanti significativo per gli Scardust. La band ha saputo affinare il proprio sound, creando un disco più coeso e maturo del precedente: pur mantenendo i suoi elementi distintivi, non ha paura di esplorare nuove direzioni. È un album che conferma il talento del gruppo e la sua capacità di emozionare e sorprendere.
È una band interessante, con ancora del potenziale da sfruttare: virtuosismo, energia e una cantante così dotata potranno regalare altra buona musica in futuro.