Recensione: Sounds of a Playground Fading

Di Emanuele Calderone - 16 Giugno 2011 - 0:00
Sounds of a Playground Fading
Band: In Flames
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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53

Qui c’è qualcosa che non sta andando nel verso giusto. Ennesimo grande nome della scena melodic death, ennesima grande delusione.
Prima i Dark Tranquillity, poi i Children of Bodom, pochi mesi fa gli Arch Enemy e ora gli In Flames, sembra che la carrellata dei grandi nomi a corto di idee non abbia fine.

Quando nel 2008 uscì “A Sense of Purpose”, un album a tratti gradevole ma tutt’altro che memorabile, un po’ tutti si chiesero quale sarebbero state le future scelte stilistiche del quintetto di Göteborg. La risposta a tale domanda è da ricercarsi nel nuovo “Sounds of a Playground Fading”, ultimo parto di casa In Flames.
Senza voler fare scomodi e inutili paragoni con album come “Whoracle”, “The Jester Race” o “Lunar Strain”, vi basti sapere che l’ultima opera pubblicata dalla premiata ditta Gelotte/Fridén non solo si attesta diversi gradini sotto rispetto a ottime uscite quali “Clayman”, lo splendido “Soundtrack to Your Escape” o “Reroute to Remain”, ma non riesce neanche a raggiungere il livello qualitativo del precedente episodio firmato dagli Svedesi. In parole povere, questo “Sounds of a Playground Fading” non convince.
Non ce ne vogliano i fan accaniti della band, ma qui manca la sostanza, manca la qualità e soprattutto, e lo scrivo con non poco dispiacere, qui a mancare veramente sono gli In Flames; non ci sono le idee sulle quali costruire brani accattivanti e longevi, così come non è presente un songwriting solido sul quale poter sviluppare canzoni. Di riff coinvolgenti e, ci si perdoni il termine, casinisti non ve ne è l’ombra e, non ultimi, mancano i chorus catchy che si marchiano a fuoco nella mente dell’ascoltatore di turno, in parole povere manca la musica.
Questo giudizio potrebbe, forse, suonare fin troppo duro e di parte, eppure ascoltando l’opera in questione non crediamo ci siano le basi per tessere parole di lodi nei confronti dell’operato del combo. Naturalmente la prestazione offertaci agli strumenti è perfetta, la qualità dei suoni si attesta su livelli astronomici e la grafica del book è ottima, ma il resto? Lo ripetiamo, sembra essere pervenuto solo parzialmente.

A voler valutare “Sounds of a Playground Fading” come un disco melodic death si compirebbe un errore non da poco poiché, fondamentalmente, qui di death metal non ve n’è la benché minima traccia.
Sarebbe dunque più adeguato trattare tale lavoro sotto un’ottica più vicina al metalcore di stampo americano, tenendo sempre in conto alcune differenze nell’approccio: tendendo bene l’orecchio alle melodie infatti, qui si possono anche riscontrare leggere influenze modern-rock da classifica.
Pochissime sono le tracce che riescono a emergere dal mare di banalità e mediocrità nel quale il disco affonda: tra queste la title-track, ruffiana al punto giusto e dotata di un giro melodico gradevole nonostante sappia un poco di già sentito. Merito, probabilmente, anche di una produzione bombastica, il pezzo riesce addirittura a far muovere la testa durante l’ascolto.
Anche “Enter Tragedy”, se confrontata con i restanti episodi, riesce a farsi apprezzare, scorrendo senza grossi intoppi, per via di un discreto dinamismo ritmico che la valorizza a dovere. Altresì valida la parte solista, piuttosto semplice e lineare, che ben si raccorda al resto della canzone. Questa è anche l’unica track nella quale si riescono a udire echi degli In Flames degli anni 2000-2006. Molto buona la prova di Fridén, autore di una prestazione decisamente convincente.
Ultimo brano a lasciare il segno è “A New Dawn”, forse il pezzo migliore dell’intero platter: a una prima parte più cadenzata e aggressiva, fa da contraltare un lunghissimo break strumentale di grande pregio, dotato di una notevole carica emotiva.
“E il resto”, vi chiederete voi? Senza voler usare mezzi termini, il resto si attesta su livelli qualitativi molto più di modesti. Le canzoni sono mosce, prive della giusta carica e della cattiveria richiesta ad un gruppo come gli In Flames; ne sono esempi “All For Me”, noiosa come non mai, l’irritante “Fear Is Weakness”, la quale vi porterà allo sbadiglio in più di un passaggio, o ancora, e questa volta è proprio il caso di dirlo, l’insensata “The Attic”, prolissa all’inverosimile nonostante l’esigua durata.
Non va meglio coi pezzi più veloci: “The Puzzle” risulta quantomeno confusionaria e poco coesa, stesso dicasi per “Darker Times”, che non riesce a tenersi a galla neanche con i suoi stacchi strumentali piuttosto gradevoli.
Inspiegabile poi la chiusura dell’album affidata a “Liberation”, un tentativo davvero mal riuscito di scimmiottare la scena melodic rock degli States. Il pezzo gira attorno a un giro armonico al limite della tolleranza che viene ripetuto all’infinito con variazioni quasi inesistenti.

Cos’altro dire? Questo disco riesce nell’inumana impresa di attestarsi diversi gradini sotto l’ultimo parto di casa Arch Enemy. Trovarsi a parlare di un album del genere infonde un senso di profonda tristezza; gli In Flames sono stati tra i padri fondatori di un intero movimento musicale, sono stati capaci di dare vita a capolavori immortali, hanno spinto la loro arte verso territori nuovi e interessanti, ma alla fine sono caduti in basso arrivando a produrre addirittura questo “Sounds of a Playground Fading”.
Arrivati a questo punto sarebbe forse il caso di fermarsi a riflettere su quale debba essere il futuro del gruppo, se mantenere vivo il nome In Flames e, soprattutto, se continuare a infangarlo con musica così poco appagante.
Sperando che con le prossime uscite i ragazzi riescano a ritrovare la “retta via”, per ora non ci rimane che bocciare  a malincuore questo disco.

Emanuele Calderone

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Tracklist:
01- Sounds of a Playground Fading
02- Deliver Us
03- All For Me
04- The Puzzle
05- Fear Is the Weakness
06- Where the Dead Ships Dwell
07- The Attic
08- Darker Times
09- Ropes
10- Enter Tragedy
11- Jester’s Door
12- A New Dawn
13- Liberation

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