Recensione: South of Heaven

Di Filippo Benedetto - 15 Maggio 2004 - 0:00
South of Heaven
Band: Slayer
Etichetta:
Genere:
Anno: 1988
Nazione:
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88

Difficilmente per una band famosa e acclamata è possibile ripetere il successo di un capolavoro comunemente ritenuto tale. Se poi prendiamo in esame gli Slayer, il discorso si fa particolarmente articolato. Dopo il dirompente impatto di “Reign in blood”, album comunemente definito masterpiece assoluto del combo statunitense, gli Slayer avevano di fronte a loro due scelte: continuare sulla falsa riga di questo capolavoro, oppure “rischiare”. Ovviamente, ma questo lo si può affermare solo a distanza di tempo, il gruppo capitanato da Kerry King optò per la seconda scelta e il risultato fu la composizione di un disco, “South of Heaven”, decisamente diverso dal precedente e per certi versi “ispiratore” del successivo “Seasons in the abyss”. Questo disco, uscito nel 1988, si presenta molto cupo a partire dalla copertina dove è ritratto un enorme teschio sovrastante  un mare di sangue.

L’apertura è affidata alla titletrack, “South of Heaven” appunto. Fin dalle prime note si nota una decisa sterzata  non solo a livello di sound (che mantiene la pulizia del precedente platter, ma con in più una “corposità” molto convincente) ma soprattutto a livello di songwriting.  L’arpeggio iniziale, che poi costruirà il tema fondamentale del pezzo, è oscuro e maestoso allo stesso tempo e il drumming di Lombardo, preciso e puntuale nel cadenzare le ritmiche, sottolinea in maniera egregia  il cupo incedere del brano. Le vocals di Tom Araya sono strazianti, cogliendo il lato particolarmente macabro dell’atmofera creata dalla track, mentre gli assoli finali sigillano la limpida bellezza di una song ormai parte integrante del repertorio classico della band statunitense.
La successiva “Silent Scream” è, al contrario della precedente song, incentrata su ritmiche convulse che sostengono un riffing tagliente nella migliore tradizione del combo.  Passando a “Live Undead”, qui la band si cimenta in un “mid tempo” costruito su un riffing sofferto e martellante. In realtà non si tratta di un vero e proprio “mid tempo”, dato che le ritmiche cadenzate del brano subiscono un’accellerazione improvvisa nella fase conclusiva del brano, dove una serie di solos, in rapida successione, ne compattano la forza d’urto. “Behind the crocked cross” è un altro brano a due facce, una caratterizzata da ritmiche dinamiche e potenti, l’altra costruita su ritmiche convulse dove il riffing si fa più tagliente e aggressivo. Con “Mandatory suicide” la band capitanata da Kerry King da sfoggio di notevoli doti in fase di songwriting, costruendo una splendida song dove un riff portante, davvero cupo e straziante ,  culmina in un delirio sonoro da brividi. Tocca “Ghost of War” concentrare l’attenzione  dell’ascoltatore su ritmiche incalzanti sulle quali si stende un riffing potente e aggressivo che in fase finale, sostenuto da ritmiche più cadenzate, si fa più maestoso e trascinante.
“Read between the lines”  e una track costruita su un riffing dissonante sostenuto da una base ritmica giocata su diversi cambi di tempo. Di sicuro questa dissonanza di fondo è un ottimo espediente che la band utilizza per costruire atmosfere quasi “claustrofobiche” di sicuro effetto. “Cleanse the soul” rimanda direttamente alle estremizzazioni sonore del precedente platter, grazie ad un drumming mozzafiato e ad un lavoro chitarristico incalzante, soprattutto in sede solistica.
L’amore di Kerry King per i Judas Priest viene disgelato, poi, in tutta la sua evidenza con la cover di “Dissident Aggressor”. La track viene eseguita in maniera quasi totalmente fedele all’originale deliziando l’ascoltatore con un’esecuzione carica di pathos. La conclusiva “Spill the blood” merita un elogio doveroso. Mai prima d’allora la band aveva osato tanto rispetto al proprio sound di riferimento, costruendo, in apertura di song, un arpeggio semiacustico cupo e però affascinante come tema fondante del brano. Con “Spill the blood”, insomma, il combo si avventura in temi melodici molto “doom” sostenuti da una base ritmica martellante e quasi ossessiva. Le vocals si fanno di nuovo sofferte e strazianti, ma il fascino della canzone sta comunque tutto nello splendido tema fondamentale del pezzo del quale, in fase di chiusura, viene “dilatata” la forza persuasiva.

In conclusione con questo capitolo della loro “saga”, gli Slayer conquistano a pieno diritto un posto d’onore tra i grandi gruppi di sempre del firmamento metal, dando alle stampe un disco coraggioso come solo una grande band sa fare.  

Tracklist:

1.   South Of Heaven         
2.   Silent Scream              
3.   Live Undead                
4.   Behind The Crooked Cross 
5.   Mandatory Suicide             
6.   Ghosts Of War
7.   Read Between The Lies
8.   Cleanse The Soul
9.   Dissident Aggressor
10.   Spill The Blood

Line Up:

Tom Araya: Bass and vocals
Kerry King: lead and rhythm guitars
Jeff Hanneman: lead and  rhythm guitars
Dave Lombardo: Drums

 

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