Recensione: Spreading the Disease

Di Odobenusrosmarus - 20 Aprile 2003 - 0:00
Spreading the Disease
Band: Anthrax
Etichetta:
Genere:
Anno: 1985
Nazione:
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95

Ed eccolo qui, il mitico gruppo capitanato dall’axeman Scott ‘Not’ Ian Rosenfeld e dal batterista Charlie Benante che ha saputo reinventare il thrash e dargli una nuova connotazione ‘pulita’, melodica e spensierata, lontana dagli estremismi made in Bay Area dei più fortunati colleghi Metallica e Slayer, con in più una forte influenza hardcore che spesso si rivela in tutto il suo trascinante coinvolgimento in autentici inni al ‘Mosh hard’, tanto in voga in quella seconda metà anni ottanta che li ha visti tra i principali protagonisti della scena metal a stelle e strisce. Nata quasi per gioco, la band di NY ha saputo inventarsi e reinventarsi più volte, e forse proprio per questo suo non prendersi mai troppo sul serio non è riuscita a mantenere il suo status di band di fama mondiale che è riuscita a raggiungere con questo ‘Spreading the disease’ e col suo successore ‘Among the living’, nonostante l’arrivo dell’ex Armored Saint John Bush, singer carismatico ma ben lontano dal suo predecessore Joey Belladonna e forse per questo poco apprezzato dai fans, e di alcuni ottimi album decisamente sottovalutati, ma questa è un’altra storia. ‘Spreading the disease’, autentico masterpiece del combo newyorkese, si apre subito alla grande con le potenti e coinvolgenti ‘A.I.R.’ e ‘Lone justice’, che da subito danno le chiare coordinate di quello che sarà il classico sound Anthrax negli anni a venire: la melodia della voce di Belladonna che si contrappone al muro di chitarre creato da Scott ‘Not’ e Dan Spitz (ex Overkill), con ben chiare influenze HC old school (ovviamente!) nel basso di Frank Bello e nel drumming di Charlie Benante. Parti ultra-speedy (‘Gung-Ho’ su tutte) alternate ad altre più cadenzate, ritornelli melodici e ‘canterecci’, brevi e azzeccati solos di Spitz, oltre a testi ora divertiti e spensierati, ora più profondi e introspettivi (come in ‘The enemy’ o la succitata ‘Lone justice’) che dimostrano che, quando vuole, la band è in grado di offrire all’ascoltatore molto più del semplice divertimento. Ma è nei brani più melodici e ragionati che la band da il meglio di sé: ‘S.S.C./Stand or fall’, ‘Medusa’ e ‘Armed and dangerous’ (già presente sull’omonimo EP, in cui Belladonna esordì con la band in sostituzione del pur bravo Neil Turbin) sono alcuni degli inossidabili capolavori della band, coinvolgenti e trascinanti come pochi, grazie al grande apporto di un singer fin troppo sottovalutato come Belladonna. Questo disco è uno degli indiscutibili gioielli del thrash metal anni ’80, ormai purtroppo ignorato dalle ‘nuove leve’ degli ascoltatori del genere, attirati da nomi più famosi e idolatrati, come Metallica, Megadeth, Slayer e Testament, e questo è veramente un peccato, perché una fetta della storia di questo genere appartiene di diritto alla band di New York, che dovrebbe essere conosciuta da ogni buon metallaro che si rispetti, se non altro per lavori come questo.

Tracklist:

  1. A.I.R.
  2. Lone justice
  3. Madhouse
  4. S.S.C./Stand or fall
  5. The enemy
  6. Aftershock
  7. Armed and dangerous
  8. Medusa
  9. Gung-Ho

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