Recensione: Starwolf – Pt. 1: The Messengers

Di Francesco Sgrò - 21 Settembre 2013 - 16:00
Starwolf – Pt. 1: The Messengers
Band: Messenger
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2013
Nazione:
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77

I tedeschi Messenger appartengono a quella categoria di gruppi, forse non troppo noti al grande pubblico, che, con grande tenacia, hanno saputo ritagliarsi un proprio spazio definito all’interno dello sconfinato mondo dell’Heavy Power, collezionando una discografia di tutto rispetto.
Proprio come è accaduto ad altri colleghi più blasonati, anche i Messenger, subirono, dopo soli due album (rispettivamente del 1990 e del ’94),una brusca battuta di arresto che li costrinse ad abbandonare le scene fino alle soglie del nuovo millennio.
Riunitisi con il solo chitarrista Patrik Deckarm superstite della formazione originale, i Messenger, dopo aver messo a segno ancora due album (“Under The Sign“, 2006 e “See You In Hell”, 2011), tornano a far versare un po’ d’inchiostro sulle pagine specializzate del settore con questo nuovissimo “Starwolf – Pt. 1: The Messengers“, di fresca pubblicazione.

Il lungo silenzio in cui il gruppo è stato prigioniero per anni non ha tuttavia placato la sete di distruzione del gruppo tedesco, espressa da una vena creativa più che mai attiva: quel che ne deriva è un lavoro in cui melodia, potenza e tecnica si fondono alla perfezione, dando vita ad un grande esempio di ottimo Heavy Power / Speed Metal teutonico.

Partenza al fulmicotone per la band, che irrompe sulle scene con la violentissima “Raiders Of Galaxy“, opener letteralmente dominata dai feroci ma eleganti riff allestiti dalle due chitarre, ricchissimi di cambi di tempo e di ottimi fraseggi neoclassici, sui quali si adagiano una sezione ritmica lancinante e le crude ma efficaci melodie condotte dal bravo Siegfried Schüßler, per un risultato definitivo qualitativamente eccellente.
“The Spectre“ prosegue con coerenza l’opera del combo, rimanendo ancorata ad un Heavy d’assalto e diretto: il brano, infatti, è costruito su velocità più cadenzate e massicce, sulle quali si staglia un refrain battagliero ed arrembante.
La macchina schiacciasassi orchestrata dai Messenger non accenna a placarsi: “Salvation“ esplode in tutta la potenza dell’Heavy più elegante, costantemente imperniato sul chitarrismo inarrestabile del già menzionato Patrik Deckarm e del bravo Frank Kettenhofen, abili nel costruire un muro sonoro incendiario senza porre in ombra la componente melodica, sempre ben evidenziata da un ritornello che pare quasi rievocare lo spirito degli americani Virgin Steele degli anni ’80.
Eccellente come al solito, il contributo di Ralf Scheepers, ospite di lusso del brano.

Il lavoro prosegue su tonalità cadenzate con la melodica “Pirates Of Space“, la quale fa da preludio alla splendida e inaspettata cover della magnifica “Port Royal“, originariamente portata al trionfo dai connazionali Running Wild, nel 1988.
Dopo questo tuffo negli anni ’80, la carrellata di inediti riprende con la bella “Chosen One“, episodio che in parte sembrerebbe continuare ad omaggiare il gruppo di Rock ‘N’ Rolf con una serie di riff epici davvero esaltanti.
“Earth, Water And Power“, viaggia ancora su velocità controllate, mentre le melodie si fanno più cupe e drammatiche pur riuscendo comunque a non sminuire il valore del brano, al quale segue la rabbiosa “Reign Of Righteous“, nuovo lapillo di incandescente Heavy Metal, addolcito soltanto dal semplice ed orecchiabile chorus.

L’ultima fase del platter è scandita dalle note della malinconica e disperata “Thousand Suns Of Eternity“, che a sua volta precede la lancinante Title track, passaggio in cui il gruppo abbandona finalmente le velocità cadenzate dei brani precedenti, per tornare con successo su territori più propriamente Speed.
Un episodio importante di questo album che trova la sua conclusione nell’esemplare trittico composto dalla violenta “Blackbone Song“ (pezzo scandito da un’altra ospite di grande riguardo quale Jutta Weinhold, storica front woman tedesca), seguita dall’oscura ed orecchiabile “The Path Of Science“, prima che un velo di tristezza avvolga le atmosfere della plumbea “Born To Face The Wind“, ballad (decisamente in stile Manowar) di piacevole ascolto, che termina in modo ottimale un album curato, feroce ed elegante.
Ma soprattutto, per gli amanti di certo tipo di sonorità “vecchia maniera”, da valutare con la massima attenzione.

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