Recensione: Swallowing the World

Inarrestabile nella sua prolificità in ordine a un numero sempre più grande di band che spaziano in tutto il panorama metal, la Svezia propone stavolta gli Imperishable con il loro nuovo, secondo album in carriera, “Swallowing the World“.
I quali si esibiscono nel caratteristico swedish melodic death metal, cioè la versione moderna del gothenburg metal. Tutte queste definizioni potrebbero risultanti pesanti da masticare e fuorvianti da quello che è, semplicemente melodic death metal. Il quale propone una miriadi di sfumature fra le quali, appunto, quelle suddette, diventando così, un vero e proprio genere da accostare al death metal classico. Un ragionamento a parere di chi scrive necessario a semplificare un po’ le cose e ad accorpare in un unico insieme divagazioni e intersezioni varie.
Gli Imperishable seguono peraltro la regola aurea la quale dispone che gli ensemble svedesi dediti al metal, e quello estremo in particolare, abbiano un livello tecnico/artistico di prim’ordine. E in particolare una dedizione totale alla causa, accostata a una irreprensibile professionalità. Caratteristiche che portano a produrre con costanza opere che vanno a occupare gli strati più nobili del mercato discografico internazionale.
È ovvio che con una presentazione simile ci si aspetti molto, dal combo, guarda caso, di Göteborg. Il quale mostra una capacità di esecuzione eccellente, supportata da una produzione che consente di percepire con chiarezza anche le note più nascoste. Questo, per regalare un ascolto pulito, chiaro, nitido. Così, è semplice recepire, per esempio, il notevole lavoro del chitarrista, Robin Holmberg, unico axe-man in squadra, capace di sapersi districare con la massima pulizia nella realizzazione di un rifferama complesso, possente, le cui componenti primarie oltrepassano a volte la velocità del suono. Una grande prova di ritmica, insomma (“Cenotaph of Dreams“). Non solo rimica, però. La sezione solista è anch’essa ricca di pregevoli assoli che lacerano l’etere, a volte dissonanti quasi per oltrepassare a mò di spada il corpo di chi ascolta (“Where No One Survives“), a volte splendidamente armonici (“Blood to Bleed“).
Molto possente la spinta ritmica che, assieme alla chitarra, determina un sound che non è sempre accattivante. Anzi, l’act nordeuropeo non disdegna di precipitare più volte nel tumultuoso abisso scavato dalla furia devastatrice dei blast-beats. La roca ugola di Henric Skoog, poi, percorre linee canore vicine alle harsh vocals, non regalando mai passaggi con la voce pulita. Con che, il risultato è quello di uno stile roccioso, possente, pregno di melodia qua e là (“Bells“), ma senza che si esageri.
Tutto quanto sopra conduce a delineare un songwriting nel quale coesistono entrambi gli aspetti dedicati a delicate armonizzazioni e brutali accelerazioni. L’usuale antitesi fra espressioni musicali melodiche e istanti di pura aggressività che, nel caso in esame, tende a declinare nella seconda fattispecie. I Nostri, difatti, picchiano duro e a volte si mostrano violenti, musicalmente parlando, nell’approccio alla composizione delle canzoni.
Le quali, per via della citata e manifesta volontà di prediligere gli aspetti maggiormente rabbiosi, sono piuttosto povere di orecchiabilità, non essendo neppure catchy per eventuali hit – sempre relative al metal estremo – da mettere sul piatto. Il che è un bene e un male. Un bene poiché si ha che fare a un’integrità strutturale dei brani che non ammette compromessi; un male dato che la relativa povertà di melodie può comportare un certo disinteresse per l’LP, mancando spunti cui aggrapparsi per reiterare gli ascolti.
In definitiva “Swallowing the World“, seppure creato con encomiabile serietà e ineccepibile bravura tecnica da parte di una formazione adulta e matura nonché consapevole dei propri mezzi, non riesce a dare vita a quel quid in più per regalare ai fan qualcosa di speciale. E gli Imperishable? Per ora rimandati.
Daniele “dani66” D’Adamo