Recensione: Terra Mortuus Est

Di Daniele D'Adamo - 31 Luglio 2020 - 0:01
Terra Mortuus Est
Band: Katalepsy
Genere: Death 
Anno: 2020
Nazione:
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78

Piombano per la terza volta sul territorio del brutal death metal i russi Katalepsy, accompagnati dai loro testi a base di miti lovecraftiani, di fantascienza e di alieni in generale.

E lo fanno con una tremenda furia scardinatrice, aprendo “Terra Mortuus Est” con un’azione di bombardamento a tappeto chiamata ‘Closer Than Flesh’, l’opener-track. La quale mostra il loro carattere distintivo più evidente: la pulizia pressoché perfetta di un sound aggressivo all’inverosimile, tuttavia sempre controllato nella sua azione distruttiva.

Con tredici anni di vita alle spalle e tre full-length in saccoccia, compreso questo, più numerose produzioni minori, il quintetto moscovita rappresenta, oggi, una delle realtà più moderne in ambito estremo, potendo contare su una freschezza che pesca sempre e comunque qualche odore dal metallo più classico. Con che proponendo uno stile non particolarmente originale ma completo e costantemente rispettoso della propria fisionomia, disegnata nei più minuti particolari per una completezza sonora davvero soddisfacente. Qua e là echeggiano pure rimandi alle sonorità *-core che, benché non invasive, danno un tocco chirurgico, quindi tagliente, al tutto, e cioè al suono prodotto in sala di incisione.

Igor Filimontsev, individuabile – come spesso accade – nel lugubre nocchiero che trasporta le anime perse nell’Ade, sceglie di non insistere a fondo nel growling, percorrendo le linee vocali evitando pertanto eccessi a volte fuori luogo come ihnale suinici e harsh vocals da sangue alle tonsille. La sua voce, al contrario, seppur rincorrendo raramente a tali aberrazioni, crea una sorta di matrimonio fra i già menzionati growling e harsh vocals. Dando così alla luce un’interpretazione piuttosto personale, diversa dai soliti cliché; la quale, nel suo essere superba, in certi momenti può risultare un po’ monotona, a voler trovare con la lente d’ingrandimento il pelo nell’uovo.

Anche nei compagni di avventura si trovano eccellenze di tutto rispetto, centrando l’obiettivo, che non sempre è debitamente sottolineato, di affrontare il brutal con una cospicua se non abbondante dose di tecnica sopraffina. La vicinanza musicale al technical death metal mescola un po’ le carte, ma il brutal è (sotto)genere che, per dare il meglio di sé, esige massima competenza in materia di teoria e pratica strumentale. Le chitarre Anton Garasiyev e Dmitry Dedov non a caso svolgono senza alcuna incertezza e/o errore formale una mole di lavoro spaventosa, fatta di una miriade di riff dalle forme sempre più complesse. Riff che s’intrecciano, si sovrappongono, si sublimano in orpelli solistici e in assoli veri e propri. Una volta tanto, si può spezzare una lancia anche a favore del bassista, Anatoly Shishilov, pure lui superdotato nel mulinare con abilità massima il proprio strumento ma calato nella realtà della forma-canzone, lasciando perdere inutili viaggi pindarici ma mantenendo ben saldi per terra i piedi sì da regalare al sound potenza immane e profondità abissale. Davvero bravissimo, davvero efficace nel riempire di materia gli spazi lasciati vuoti da chitarre e batteria. Batteria che, come da regola, segue con impressionante costanza pattern dannatamente complessi. Pure qui, comunque, Bauglir rifugge gli eccessi autocelebrativi devolvendo tutto se stesso alla causa comune del gruppo: l’annichilazione.

A questo talento, invero poco comune, di saper dedicare abilità ben al di sopra della media alla stesura di brani che non siano inintelligibili, segue per forza di cose la composizione di un insieme assai valido e concreto di tracce dotate di un inizio, uno svolgimento e una fine. Lasciando in tal modo all’ascoltatore un buon margine di comprensione per poter gustare al 100% la brutale bellezza di un disco che, malgrado abbisogni di parecchi passaggi per essere ben digerito, regala una ridda pressoché infinita di particolari da scovare a poco a poco.

Ad ogni modo, in generale, i Katalepsy sono una micidiale macchina da combattimento che vive i migliori momenti quando la potenza del suo motore raggiunge i limiti della resistenza umana. “Terra Mortuus Est” è, quindi, per molti ma non per tutti.

Daniele “dani66” D’Adamo

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