Recensione: The 7 Deadly Sins

Di Yuri Fronteddu - 25 Dicembre 2014 - 9:30
The 7 Deadly Sins
Band: Necrodeath
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2014
Nazione:
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65

Ancora un nuovo anno di estremo thrash/black per i genovesi Necrodeath. Scogli di equilibrio instabile li hanno perseguitati nel corso di tutta la loro biografia, ma ne sono sempre usciti rinforzati, nonché pieni di nuove idee da mettere in pratica. Il risultato è stato un quadro generale che, fino ad oggi, risulta pieno di evoluzioni e influenze filtrate attraverso il thrash, il death e il black, nonché un sound che sembra rimandare principalmente a Slayer, Evile, Sabbat giapponesi e Kreator a partire dagli anni ’80. Evoluzioni che hanno portato fino a questa nuova release peccaminosa presso Scarlet Records.

Venendo al dunque, in questo nuovo “The 7 Deadly Sins” i Necrodeath detergono i loro corpi in un bagno composto almeno per l’80% di Slayer ed un cospicuo 10% di Aura Noir, avvolti da un eterno MI♭ minore. Il restante 10% vede l’originalità del gruppo genovese nel saper mischiare questi due ingredienti rendendoli al 100% Necrodeath. Il sound che ne deriva, pur rimanendo, come si diceva, nel solco della tradizione della band, è dunque più estremo del precedente “Idionsyncrasy”.
L’habitus indossato, questa volta, è un habitus superbo, cattivo e nefando, che vede Alberto FlegiasGaggiotti siedere su di un trono di dannati, come “un système où tout se tient”.
Dal punto di vista tecnico, la parte black del loro sound viene un po’ messa da parte, probabilmente per accentuare in modo idealmente più intenso l’infernalità attorno alle prime sette tracce, simboleggianti i sette peccati capitali. Rimandi diretti a questo tema si notano, oltre che, ovviamente, nei titoli delle canzoni, nell’intro di “Sloth”, il primo brano, quando Flegias da il tempo a Marco PesoPesanti dietro le pelli. Ma altre volte si torna platealmente in argomento: come nel mezzo del quarto brano, “Pride”, dove il singer elencherà, sussurrandoli, tutti e sette i peccati capitali.
Ogni brano è originale a modo suo, partendo da un iniziale thrash avventato che si trascinerà fino a dopo la quarta traccia, “Pride”. Il secondo spezzone dell’album, invece, lo fa volgere ad un termine estremo in modo più tranquillo ed eterogeneo nel riffing, sfruttando spesso la tecnica del mid-tempos. In particolare, ciò è denotabile alla conclusione di “Greed” (e, in pratica, dell’album, fatta eccezione per le bonus track) dove cori epici intonano un inno trionfale sopra questo mid-tempo heavy/thrash, destinato ad un epilogo con dissolvenza.
Per quanto riguarda i remake di “Thanatoid” (da “Fragments of Insanity”) e “Graveyard of the Innocents” (da “Into the Macabre”), piazzati in chiusura della versione con bonus track di “The 7 Deadly Sins”,vi è di sicuro la ripresa di maggiori elementi black, sebbene l’adattamento all’attuale sound più thrash e molto slayeriano abbia contaminato questi due ultimissimi brani.

Per chiudere: una piccola nota di demerito dovuta a una leggera ridondanza compositiva, che rischia di ricadere nella monotonia, oltre che nella monofonia in MI♭ minore (come inizialmente accennato). Tuttavia, nel complesso “The 7 Deadly Sins” si rivela una buonissima nuova uscita ed evoluzione dei Necrodeath, da sempre amanti del trasformismo musicale.

Yuri Fronteddu

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