Recensione: The Art of Dying

Di Matteo Lavazza - 25 Aprile 2004 - 0:00
The Art of Dying
Band: Death Angel
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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95

Tornano i Death Angel, quattordici anni dopo “Act III”, il loro ultimo studio album, e lo fanno nel loro stile, cioè con un originalità che non ha eguali, o quasi, all’interno della scena Metal.
Il nuovo “The Art of Dying” viene aperto da un intro strumentale, bissata dalla canzone più marcatamente Thrash dell’intero lavoro, “Thrown to the Wolves” è infatti una mazzata che riporta la mente direttamente al loro esordio, quel capolavoro immenso di “The Ultra Violence”, con in più però l’esperienza che il gruppo ha maturato nel corso di anni di tournee, un pezzo dannatamente cattivo che però riesce a stupire in più di un occasione grazie a passaggi inaspettati, come sempre la band è riuscita a fare nella sua storia.
È davvero incredibile come i Death Angel diano sempre l’impressione di essere un passo avanti rispetto a tutta la scena Thrash mondiale, e canzoni come “5 Steps of Freeedom”, all’apparenza una canzone sguaiata ma che regala delle vere gemme in fase di arrangiamento che potranno essere colte dagli ascoltatori più attenti e con la solita grande fantasia per le melodie, “The Devil Incarnate” oscura e dall’atmosfera malvagia, come forse mai la band è stata prima, con la voce del sempre eccezionale Mark Osegueda a dipingere una melodia vocale ipnotica e quasi surreale, davvero un brano che mette in evidenza come il gruppo in fase di songwriting abbia davvero una marcia in più rispetto a gran parte delle band odierne, un brano in grado di coniugare Metal ed innovazione, chiarendo una volta di più che per essere innovativi ed originali serve innanzitutto saper scrivere belle canzoni, senza bisogno di snaturare quello che deve sempre essere lo spirito dell’Heavy Metal, “Prophecy”, dove a farla da padrone sono ancora una volta atmosfere piuttosto cupe all’inizio, prima che il pezzo esploda in una sparata Thrash guidate dalle chitarre dei bravissimi Rob Cavestany e del nuovo arrivato Ted Aguilar, la divertente Rock ‘n Roll oriented “No”, una song che mette in mostra il lato musicalmente più “spensierato” dei Death Angel, senza però perdere mai di vista l’aggressività, “Spirit”, altro pezzo giocato su velocità piuttosto elevate con ancora una volta in evidenza un lavoro in fase di songwriting davvero incredibile e con melodie vocali di prim’ordine, bellissimo anche lo stacco centrale, che spezza il ritmo del pezzo riuscendo a cambiare atmosfera alla canzone, con Rob che estrae dal cilindro un assolo splendido non solo tecnicamente ma anche per quello che riguarda il pathos, splendido anche il lavoro della coppia ritmica Dennis Pepa al basso e Andy Galeon alla batteria, “Never Me”, che all’inizio mi ha riportato alla mente certe cose dei Metallica del “Black Album”, ma già dopo pochi secondi la band cambia rotta e tira fuori l’ennesima canzone in cui l’ascoltatore non sa mai cosa aspettarsi, una sorpresa continua, e la conclusiva “Word to the Wine”, una ballad davvero in grado di reggere il confronto con la mitica “A Room with a View”, riuscendo per certi versi ad essere addirittura superiore, grazie soprattutto all’interpretazione calda e molto sentita della voce di Mark. Anche quando il pezzo diventa un po’ più tirato riesce a mantenere comunque quelle che sono le caratteristiche iniziali.
Citare solo qualche canzone è quasi un insulto alla bellezza che questo album esprime nella sua totalità, è infatti proprio l’ascolto completo di tutto il lavoro che fornisce una visione chiara di quelle che sono le grandi qualità di questo gruppo.
I suoni di “The Art of Dying” sono davvero molto belli, sempre in grado di far risaltare ogni singolo strumento è di dare alle canzoni la giusta dose di potenza, senza per questo risultare però freddi o impersonali.
Tecnicamente credo che i Death Angel siano da sempre uno dei gruppi Thrash col più alto tasso tecnico, una tecnica messa sempre al servizio delle canzoni, mai usata per semplici sfoggi di bravura.
I Death Angel sono sempre stati a mio giudizio troppo sottovalutati, complice anche il fatto che la loro non è una musica semplice da ascoltare, loro sono da sempre una band che ha fatto dell’innovazione e della ricerca sonora una bandiera da sventolare alta, e purtroppo secondo me ai tempi della loro prima parte di carriera non in molti erano riusciti a comprendere la grandezza di questo gruppo, spero che il loro ritorno trovi la scena Metal più pronta a capire la loro grandezza.

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