Recensione: The Audio Injected Soul

Di Alberto Fittarelli - 29 Settembre 2004 - 0:00
The Audio Injected Soul
Band: Mnemic
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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75

Per chi ama le sonorità moderne, ma deve scavare per trovare i dischi che
sappiano bilanciare modernità di idee e solidità di background, senza scadere
nel banale, il primo album dei danesi Mnemic
era stato sicuramente una rivelazione: Mechanical
Spin Phenomena
era un disco che miscelava alla perfezione la
cerebralità dei Meshuggah alla melodia di derivazione industrial, con i Fear
Factory
come numi tutelari; ottime songs, ottimi chorus, e pezzi consistenti
e longevi.

Ecco, con quest’ultimo aggettivo temo di aver colto subito la spina nel
fianco di questo nuovo The Audio Injected Soul: la band ha
dichiaratamente snellito le strutture di una musica che si basava su di esse per
durare a lungo nella mente dell’ascoltatore, e rischia troppo spesso di svanire
in mezzo alla moltitudine di produzioni simili, sfortunatamente. Capiamoci,
questo disco mi è piaciuto: lo apprezzo perchè contiene idee grandiose, un ottimo cantante (Michael Bøgballe può competere
tranquillamente con Burton C. Bell, a mio parere) ed una sezione ritmica da
urlo. Ma manca quel “quid” che dava al suo predecessore diversi punti
in più su tutti i dischi di settore (Meshuggah a parte), che peraltro si
difendono molto bene (penso per esempio ai francesi Scarve); anzi, qui si
sfiora certe volte la commistione, e la confusione, con le sonorità di altri
acts della Nuclear Blast: come non ravvisare la presenza palpabile degli ultimi Soilwork
in song come Dreamstate Emergency?

Ma il combo scandinavo ha comunque un suono ed una personalità ben definiti,
ed in tutti i pezzi sa mettere qualcosa di fondamentalmente differente: bello il
chorus pulito di Illuminate, sorretto
da un “telaio” accattivante quanto basta; davvero ottima l’atmosfera
creata in fase di arrangiamento in una canzone come Sane
Vs. Normal
, assolutamente cupa nel suo incedere; e splendido,
infine, l’uso delle chitarre di Mircea e Rune in Overdose
in the Hall of Fame
: una a reggere potenti ritmiche stoppate,
l’altra a creare una linea melodica di sfondo, un raggio di luce nel buio.
Impossibile dimenticarsi poi di come la produzione di Tue Madsen e dei suoi
AntFarm Studios giochi un’importanza fondamentale nel risultato complessivo.

Ma… come si intuisce c’è sempre un “ma” che aleggia nell’aria:
ed in questo caso lascia perplessi la semplificazione forse eccessiva dello
scheletro dei pezzi, che rende anche i brani più violenti e robusti (Deathbox,
ad esempio) assimilabili pericolosamente a rock songs estremizzate. E ne
diminuisce l’impatto, a lungo termine. Senza dimenticare l’assenza di melodie
vincenti, importantissime per l’equilibrio di un gruppo come gli Mnemic:
tutt’al più se ne trovano di carine, ma come potrebbe esserlo quella di un
brano qualsiasi. Una spersonalizzazione parziale, quindi, anche se i brani
continuano a raccontare esistenze metropolitane, deviazioni e notti trascorse
alla luce di neon scassati.

Un album un po’ a chiaroscuri, quindi, anche se le caratteristiche positive
prevalgono ancora di molto: headbanging assicurato, così come la freschezza di
idee del gruppo; solo un lieve abbassamento della qualità del songwriting, ma
spero che un gruppo così giovane possa recuperare in fretta.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. The Audio Injection
2. Dreamstate Emergency
3. Door 2.12
4. Illuminate
5. Deathbox
6. Sane Vs. Normal
7. Jack Vegas
8. Mindsaver
9. Overdose In The Hall Of Fame
10. The Silver Drop
11. Wild Boys (Duran Duran Cover)

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