Recensione: The Battle of the Ivory Plains

Di physis86 - 19 Novembre 2006 - 0:00
The Battle of the Ivory Plains
Band: Dragonland
Etichetta:
Genere:
Anno: 2001
Nazione:
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52

A pochi giorni dall’uscita del quarto album da studio degli svedesi Dragonland, mi sembra un’ottima idea farsi un giretto nel passato analizzando l’album del loro debutto, prodotto nel 2001 e distribuito nel 2002: The Battle of the Ivory Plains. Power metal estremamente melodico, con passaggi tecnici di buona efficacia accompagnati da immancabili tastiere: questo sono i Dragonland, questo e nient’altro. E anche il loro esordio lo dimostra. Rispetto ai successivi lavori, però, è presente una pecca incredibile, la produzione, che rende le canzoni in linea di massima ben suonate, ma in almeno tre occasioni decisamente inascoltabili. Passiamo quindi all’analisi del disco traccia per traccia, tanto più in un cd come questo, la cui alternanza di alti e bassi è davvero sconcertante.

Si parte con la melodicissima, malinconica e struggente Dragondawn, che sembrerebbe essere la degna apertura di un capolavoro. In pochi secondi, l’atmosfera magica del fantasy e del power metal è ricreata, i problemi di ogni giorno dimenticati come per incanto. Come nei migliori romanzi, l’accordo con l’ascoltatore è creato e noi siamo pronti a seguire gli eroi nelle loro imprese… E dunque… Pronti, partenza… Puf! Crolla tutto. Game over, prima ancora di cominciare. Non ci si potrebbe aspettare un salto più brusco dall’incanto alla delusione, dal paradiso all’inferno. Alla prima nota della successiva Storming Across Heaven il patto appena instaurato è rotto e la sorte dell’intero album quasi irrimediabilmente segnata. La batteria è in sordina, la cassa troppo ovattata, la voce sfibrata ed estremamente piatta, i cori stonati dall’inizio alla fine. La canzone in sé, prescindendo dall’assoluta banalità e ripetitività del testo e dalla mancanza di originalità generale, sarebbe anche godibile, ma il missaggio degli strumenti e il cantato è quanto di peggio ci si possa aspettare! Alle nostre orecchie appare una band alle prime armi e disorientata, tanto che l’ascoltatore più impaziente, già a questo punto, gli negherebbe una seconda possibilità.
Ma chi a questo punto spegnesse il lettore e gettasse il cd fuori dalla finestra, seppur legittimato, farebbe un errore. Perché il terribile inizio si dimostra essere, con le canzoni successive, solo uno dei sopracitati passi falsi. Ci pensa A last farewell a rimettere i Dragonland in carreggiata, cercando di riprendere, dai tuoni e lampi iniziali, il discorso intrapreso nell’intro. Le chitarre irrompono violentemente e ci preparano, finalmente, a un album power degno di questo nome. La canzone è una ballad/duetto tra voce maschile e femminile decisamente apprezzabile, se si trascura la pronuncia inglese abbastanza scolastica dei due interpreti. L’uso degli accordi ricorda i grandissimi maestri della musica classica, come Beethoven e Chopin; impressione tutt’altro che infondata, vista l’evidente propensione dei Dragonland per la riproposizione di brani noti in chiave power metal. L’ombra degli Stratovarius e dei nostrani Rhapsody aleggia pericolosamente: sensazione confermata da Ride for glory, che sembra uscita direttamente da Legendary Tales. Tutto sommato non male, comunque, ben suonata e coinvolgente.
Parentesi aperta e immediatamente chiusa per quanto riguarda il discorso testi: lo stra-abusato distico “carry on/ride on” dice tutto sull’impegno messo dal gruppo in fase di scrittura.
La quinta The Orcish March stupisce abbastanza, concretizzandosi in un mid-tempo ben strutturato e, sebbene non originale, abbastanza caratteristico e decisamente riuscito. Ottimo il ritornello, che resta in testa fin dal primo ascolto, cantato da Heidgert con voce finalmente calda e ben impostata.
Ed eccoci giunti alla title-track, The Battle of the Ivory Plains, che condensa nei suoi sei minuti abbondanti tutto quanto fatto di buono dai Dragonland in questo loro debutto. Il tempo è molto elevato, la batteria detta legge ai ritmi vertiginosi tipici del power, anche se con qualche difettuccio nel sound, specialmente nella parte iniziale. I due minuti di assoli presentano temi in progressione decisamente di stampo “tolkkiano”, e un uso tipicamente nordico delle tastiere. L’acuto finale di Heidgert mostra tanto i suoi pregi, quanto i suoi difetti. Canzone nel complesso più che discreta.
Dopo la trascurabilissima e orribilmente prodotta Graveheart, seconda stordente battuta d’arresto, si passa al celeberrimo Rondo a’la Turca di Mozart. Il pezzo è arrangiato ottimamente dal gruppo svedese, nonché splendidamente eseguito, senza alcuna sporcatura, dal sublime tastierista dei nostri, che con questa chicca si candida prepotentemente come leader tecnico della band. Spunti Rhapsodiani, synth d’atmosfera e progressioni barocche si susseguono in A secret unveiled, che non aggiunge nulla di nuovo a quanto già detto. La caotica World’s End è il terzo passo falso del disco, e ripresenta tutti i difetti già ampiamente elencati nell’opener. La strumentale e sognante Dragondusk, riprendendo l’intro, chiude il cerchio congedandoci da un’avventura con un inconfondibile retrogusto di già provato, che avrebbe potuto essere, con una produzione più decorosa, anche abbastanza coinvolgente.

In complesso non mancano buoni momenti di musica power metal, e l’album non faticherebbe a raggiungere una piena sufficienza. Dopotutto, tecnicamente i Dragonland dimostrano di saperci fare, le riprese classiche e le tracce della musica delle altre band si fondono in un mix interessante… Ma il lavoro manca completamente di personalità, le doti canore del frontman Heidgert non sono ancora sfruttate come dovrebbero e la produzione, in certi momenti, è davvero ridicola. Nei tre disastri sopracitati, i microfoni da 30 euro e il piccolo mixer della mia sala prove avrebbero fatto di certo migliore figura.

Tracklist:
1. Dragondawn
2. Storming Across Heaven
3. A Last Farewell
4. Ride for Glory
5. The Orcish March
6. The Battle of the Ivory Plains
7. Graveheart
8. Rondo a’la Turca
9. A Secret Unveiled
10. World’s end
11. Dragondusk

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