Recensione: The Bloodshed Summoning

Di Stefano Ricetti - 15 Febbraio 2013 - 0:00
The Bloodshed Summoning
Band: Sacred Steel
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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75

Di sicurezze, nella vita ce ne sono solo due: la mamma e la squadra di calcio. La seconda, nella nefasta possibilità che venga cambiata durante l’esistenza consegna al mondo e marchia a fuoco l’ennesimo quaquaraquà (Sciascia docet). In ambito metallico ce ne sono un po’ di più: gli Exciter, gli Anvil, i Motorhead, i Manilla Road… i Running Wild lo erano, prima dei tonfi degli ultimi anni e infine, per non tirarla troppo in là e occupare tutto lo spazio a disposizione per la recensione, i Sacred Steel da Ludwigsburg, Baden-Württemberg.  

Nati nel 1997, sfornano The Bloodshed Summoning, marchiato Cruz del Sur Music, ottavo album della loro milizia, ovviamente all’insegna, ancora una volta, della coerenza siderurgica. Leggasi ripetitività per i detrattori cronici del combo teutonico, fra i quali talvolta si annidano, udite udite, anche dei defender matricolati!  

Booklet monumentale di ben venti pagine ad accompagnare una release dalla copertina fumettistica, particolare inedito nella storia della band, contenente tutti i testi delle canzoni, ognuno dei quali rappresentato da un bel disegno in tema.   

Attacco in piena regola con la traccia numero uno: Storm of Fire gode di passaggi di chiara influenza Slayer quando si dedicavano al Thrash di matrice purissima. La voce semi-alcoolica di Gerrit P. Mutz, per l’occasione vicinissimo a Mille Petrozza dei Kreator, conferisce al brano quella connotazione animale che da sempre i Sacred Steel sanno instillare all’interno delle loro composizioni. Che i Nostri provengano dalla Germania è risaputo, se mai ci fosse bisogno di riscoprirlo basta ascoltare la successiva No God/No Religion, un mix di Thrash prussiano e cori eroico/folkloristici.

When the Siren Calls è una cavalcata metallica dalle metriche assassine vicino agli Anvil di stampo lamentoso, ancora chitarroni Slayer a menare le danze all’interno di The Darkness of Angels. The Bloodshed Summoning, la title track, affascina proprio perché gli ‘Steel non “tirano” inutilmente ma si “limitano” a velocità medie anche se sufficientemente sostenute, andando a solleticare anche il lato epico della loro proposta. La calma relativa dura però poco: Under the Banner of Blasphemy è mazzata claustrofobica in salsa Kreator, scorre l’ordinaria Black Towers, Crypts of the Fallen si apre con asce umbratili per poi dimenarsi fra il maglio manovrato da Mathias Straub e chitarroni HM in piena regola, con buona pace per chi sperava di ascoltare un brano di ‘Summoning senza scapocciare, nonostante il mood dark diffuso. 

Grandioso il riff stra-ortodosso che costituisce la colonna portante di The Night They Came to Kill, ennesimo pezzo in-your-face dalla connotazione thrashy del disco nel quale Gerrit si sforza per coprire uno spettro  vocale leggermente diverso da quello canonico. Join the Congregation è solo strumentale, la solfa non muta nemmeno all’interno dei quasi otto minuti di Journey into Purgatory, fatta eccezione per la seconda parte della traccia, con Mutz commovente per l’interpretazione sofferta dietro al microfono, invero con risultati altalenanti.  

Minimo sindacale di strumentale tramite le note di Doomed to Eternal Hell e si arriva a Perversions of the Scriptures, episodio semplicemente terremotante, as usual, mentre la saltellante Unbinding the Chains si inscrive fra il novero dei mid tempo pesanti di casa Sacred Steel. A chiudere cotanta mattanza siderurgica, la sufficientemente riuscita cover dei Misfits Dig Up Her Bones, brano bello di suo e quindi difficilmente stuprabile da un gruppo d’esperienza come quello proveniente dal Sud della Germania.

Alle operazioni di peso finali, The Bloodshed Summoning si rivela l’ennesimo blocco di granito partorito dai Sacred Steel. Ormai l’unica cosa che cambia per i tedesconi di Ludwigsburg è la diversa percentuale dei soliti ingredienti nel momento in cui viene concepito il magma metallico che va poi a costituire la “pasta” del disco. L’ascolto completo dell’album si accompagna a un furioso headbanging, il cui sudore che ne scaturisce sa inevitabilmente di terra di Germania: Kreator, Destruction ma anche un pizzico di esterofilia targata Mercyful Fate, a siglare un impasto che ha decisamente sterzato verso il Thrash.  

 
 
Stefano “Steven Rich” Ricetti

 


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Tracklist:

01. Storm Of Fire 1916
02. No God/No Religion
03. When The Siren Calls
04. The Darkness Of Angels
05. The Bloodshed Summoning
06. Under The Banner Of Blasphemy
07. Black Towers
08. Crypts Of The Fallen
09. The Night They Came To Kill
10. Join The Congregation
11. Journey Into Purgatory
12. Doomed To Eternal Hell
13. Perversions Of The Scriptures
14. Unbinding The Chains
15. Dig Up Her Bones

Line-up:

Gerrit P. Mutz: Siren Of Blasphemy
Jonas Khalil: Six Swords Of Doom
Jens Sonnenberg: Six Knives Of Torture
Kai Schindelar: Four Gallows Ropes
Mathias Straub: Executioner’s Hammer

 

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