Recensione: The Dark Age

Di Mauro Gelsomini - 28 Ottobre 2002 - 0:00
The Dark Age
Band: White Skull
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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77

Credo di essere uno dei pochi a preferire i White Skull con “Gus” dietro ai microfoni. Niente di personale contro la ex singer Federica De Boni , si tratta solo delle mie intransigenti e intolleranti preferenze androgine, metallicamente parlando. Il nuovo singer Gustavo Gabarrò da’ al gruppo un’aggressività e una ruvidità che non avevo modo di apprezzare precedentemente, ricordando a tratti la cattiveria di Chris Boltendahl, l’evocatività di Messiah Marcolin e la profondità di Mathew Barlow.
Il disco mi ha fatto pensare che per esportare il metal italico all’estero bisogna forse portare qualcosa che in qualche modo ci accomuni allo stile teutonico, cosa che risalta decisamente all’orecchio ascoltando attentamente questo “The Dark Age”: riff ruggenti e tirati, melodie poderose e ritornelli travolgenti sono gli ingredienti giusti per un prodotto di qualità, e ciò spiega anche l’interessamento di una label come la Frontiers, non dedita a sonorità troppo “pesanti”. Non è un caso, quindi, che siano aumentate le orchestrazioni, gli innesti tastieristici, e la cura per gli arrangiamenti.
Il quintetto propone una rilettura in chiave classic metal della vicenda di Giovanna D’Arco, e affresca il periodo storico con intelligenti trovate mistico-gotiche che bene si intrecciano con gli standard melodici del genere. Si parte quindi dalla titletrack, energica e d’impatto, e passando attraverso la tettonica “Grand Inquisitor” si giunge al godibile hard rock di “Maid Of Orleans”, impreziosito da arrangiamenti orchestrali davvero gustosi. Senza cali di tono “New Crusade” mostra un incedere davvero accattivante, riuscendo a trovare il giusto connubio tra un arioso power metal e stoppati di stampo più thrash-oriented. E’ ancora il power/speed ad alleviare le sincopate ritmiche delle strofe nervose di “The Edict”, e la separazione è davvero oculata, visti i contenuti del brano. Forse un po’ semplicistica la scelta dell’assolo, troppo malmsteeniano, e non in grado di fornire il break vincente per il chorus finale.
Si abbandonano per un attimo le vocals graffianti e aggressive per una sofferta ballad dall’atmosfera mistica: “Voice From The Heaven”. Si torna gradualmente a picchiare con “Devil’s Woman”, sulla scia delle band germaniche, Grave Digger in testa, più affermate nel genere. Il discorso viene confermato dal trittico conclusivo, “Torture”, “A New Handbook” e “Sentence Of Death”, tre pezzi di power metal strappa-consensi la cui dirompente immediatezza può far abbracciare la musica dei White Skull anche a quella fetta di pubblico che fino ad oggi li aveva ignorati. Il tempo dirà se la mia profezia si adempirà.
La suite finale, “Theme For The Innocence”, è il paradisiaco epilogo di cotanto argomento, con “B.B.” che si produce in un debilitante solo acustico di grande classe.
La mia attitudine aor-oriented mi farà inimicare non pochi amanti del metallo più rude, ma credo che in un disco del genere ci sia carne al fuoco a sufficienza per saziare anche i palati più “grezzi”.

Tracklist:

1. Penitenziagite (intro) 
2. The Dark Age 
3. Grand Inquisitor 
4. Maid of Orleans
5. New Crusade 
6. The Edict 
7. Voice from the Heaven
8. Devil’s Woman
9. Torture
10. A New Handbook
11. Sentence of Death
12. Theme for Innocence

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