Recensione: The Demise Of The Third King’s Empire

Di Matteo Bevilacqua - 26 Gennaio 2021 - 12:10

Meanwhile in Finland…

La nostra storia inizia nel 1995 e tratta di un tal Marco Bernard, bassista e compositore italiano trapiantato in Finlandia, il quale decide di rivolgersi alla Finnish Association for Progressive Music. A un anno di distanza il coinvolgimento prende piena forma con il suo impegno nel Colossus Magazine e nella serie di album a tema creati in collaborazione con la potente etichetta prog francese Musea Records.

Successivamente all’incontro con il polistrumentista statunitense Steve Unruh e il batterista finlandese Kimmo Pörsti nel 2009 nascono i The Samurai Of Prog. Fin dal debutto, la filosofia della band è sempre stata quella di coinvolgere musicisti aggiuntivi, motivo per cui ogni album contiene un elenco impressionante di ospiti in studio. Nonostante si fatichi a trovare informazioni sul web, se non sugli archivi prog specializzati, stiamo parlando di una band incredibilmente prolifica: il 2020 in particolare vede l’uscita di tre lavori di casa TSOP: Gulliver, Beyond the Wardrobe e The Demise Of The Third King’s Empire. Quest’ultimo, che andiamo ad analizzare oggi, è una versione alternativa di “The Demise”, originariamente pubblicata nell’album Lost and Found (2016).

Un suadente intro di pianoforte, “The Book of Knowledge”, apre le nostre porte sensoriali a quello che sarà un lungo viaggio: non aspettiamoci tuttavia un viaggio facile ascoltando la successiva “The Demise Of The Third King’s Empire” perché si tratta di un’unica ed epica traccia della durata di più di 57 minuti. La voce narrante di Richard Maddock ci introduce alla trama: i fatti narrano di un libro contenente la somma di tutta la conoscenza umana, oggetto dei desideri dell’imperatore Malikus il quale, attraverso la scoperta di una forma di teletrasporto (Dymental Travel), minacciava la sicurezza di vari mondi, tra cui quello di Lorne dove era appunto custodito il libro. I sette discendenti degli Antichi, gli unici a conoscerne l’esatta posizione, a loro volta mandano Basil ad aiutare Lorne a recuperare il libro prima di Malikus e riportarlo al tempio.

Ai fini della narrazione i 57 minuti sono divisi in 36 parti, nelle quali assistiamo al viaggio solitario di Lorne, dapprima alla camera del consiglio degli Antichi, poi alla fortezza per recuperare il libro. Segue il confronto con Eurynome (il primo agente di Malikus) che mentalmente tenta di spezzare le certezze di Lorne, mostrandogli un futuro in cui la missione è risultata fallita per cui è ormai inutile resistere. L’aiuto di Basil a questo punto si rivela fondamentale e neppure l’arrivo delle truppe di Malikus frena l’impeto di Lorne che si fa strada attraverso la battaglia fino al tempio, riportando il libro agli antichi i quali evocano gli incantesimi in esso contenuti, trionfando così sul male.

A livello musicale siamo al cospetto di un lavoro che mostra tutte le caratteristiche del prog rock da manuale, perciò potremmo spuntare praticamente ogni casella descrittiva relativa al genere: influenze classiche, pesante uso di tastiere, complesse composizioni che esplodono in suoni elettro-acustici e una musica realizzata per essere ascoltata con attenzione. Le influenze sono tante, in primis i Genesis che trasudano da ogni poro dell’album; la presenza del violino, a tratti strumento trainante (es. “Part.1 The Call”) richiama alla mente il lato più progressive dei Dixie Dregs. Rispetto alla versione originale del 2016, spicca immediatamente la performance vocale di Marco Vincini che, come il miglior Peter Gabriel, ci trascina con sé in questo viaggio, calandosi perfettamente nel ruolo di Lorne e coinvolgendoci nella sua sofferenza.

Come da consueto per i TSOP le parti di chitarra sono davvero rarefatte ma quando presenti, come nel bell’assolo in “Part.5 Images”, la performance è azzeccata. Volendo approfondire questa sezione, troviamo uno dei momenti più memorabili a livello di linea vocale in cui riecheggiano i migliori Marillion. Senza poterci soffermare su quanto ascoltato, un intricato assolo di sassofono su un tempo irregolare in 7/8 ci fa balzare dalla sedia. Il tema iniziale viene però riproposto in un 7/8 davvero ben riuscito. Non mancano le parti interamente strumentali (es “Part. 9 To The Land”) dove troviamo uno splendido scambio di assoli prima di organo, poi di violino, poi di chitarra.

Altro apice è toccato in “Part.13 The Council Chamber” in cui Lorne viene introdotto alla riunione della camera del consiglio degli Antichi dove la musica è meravigliosamente epica e coinvolgente. Un bell’assolo di tastiera ci porta ad una linea melodica che conquista al primo ascolto. Le orchestrazioni e gli arrangiamenti di Stefan Renstrom impreziosiscono l’atmosfera permettendoci di calarci davvero nella scena. Le chitarre acustiche nel sottofondo danno il colpo di grazia e il songwriting è superiore alla media.

Un ulteriore punto di forza è dato dall’accoppiata dei vocalist che regala una serie di performance da urlo: la voce più scura e rassicurante di Mark Trueak (nel ruolo di Basil) è in contrasto con la voce acuta e sofferta di Marco Vincini (Lorne). Ottimo esempio, in “Part.19 I Will Take The Book” abbiamo uno splendido duetto tra le voci, la principale quella di Basil, che riecheggia nel momento di trionfo in cui Lorne stringe a sé il libro.

Come per ogni concept album che si rispetti, la band si avvale di un apprezzabile uso del leitmotiv per richiamare l’arrivo o la presenza di un personaggio come in “Part.22 Basil’s Tune”, momento in cui si percepisce la vicinanza di Basil, quantomeno nella mente di Lorne. Anche verso la fine dell’album, in “Part.34 Incredible Scenes”, si arriva in modo molto intelligente al leitmotiv e si riprende il tema di “Part.13” per riportare l’attenzione dell’ascoltatore alla camera del consiglio degli Antichi. Ciliegina sulla torta, nello strumentale “Part.27 The March”, si distingue la cornamusa di Llorian Garcia sostenuta dall’incedere del rullante ad andatura sostenuta. Chiudendo gli occhi possiamo davvero immaginare la marcia delle armate sul campo di battaglia e qui l’album raggiunge un culmine di rara bellezza.

Alla luce di quanto descritto finora, si potrebbe pensare che si stia gridando al miracolo. Sono dovute tuttavia alcune precisazioni, considerando le difficoltà oggettive nel realizzare un unico prodotto musicale che sia coinvolgente per l’intera durata di 57 lunghi minuti. Ci sono dei momenti davvero ottimi e l’album in generale scorre bene, ma a tratti è difficile mantenere la concentrazione. Inoltre molte sezioni strumentali falliscono nell’intento di fungere da collante all’interno della trama e il risultato pare più come una mera esecuzione di dubbio livello per la quale non sia stato valutato a sufficienza il contenuto. Su tutti, l’esempio di “Part.29 A Tribute To A Master”, momento neoclassico inconsueto e del tutto evitabile che sembra quasi un esercizio, un saggio scolastico, in cui vengono semplicemente eseguite scale ascendenti e discendenti. A livello di scelta degli strumenti, opinione sicuramente di parte, qualche chitarra rock in più avrebbe incrementato il range dinamico: un buon esempio “Part.26 The Elders Are Coming”, che con due chitarroni sarebbe potuto tranquillamente comparire in un album dei Blind Guardian ma che in questo caso purtroppo non decolla.

Per concludere, The Demise Of The Third King’s Empire è un must per tutti i fan del rock progressivo retrò. Altamente raccomandato a chi ama i lavori di Rick Wakeman, Yes, Jethro Tull, Kansas, Supertramp, Emerson, Lake and Palmer, Steve Hackett e Yes degli anni Settanta. Detto ciò, causa un songwriting a tratti un po’ stanco e una trama non particolarmente all’altezza è difficile promuovere il lavoro a pieni voti a riprova del fatto che la prolificità non sempre incontra un adeguato standard qualitativo. Aspettiamo con interesse e curiosità il prossimo lavoro (The Lady And The Lion) previsto per i primi mesi del 2021.

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