Recensione: The Endless

Di Stefano Usardi - 21 Settembre 2022 - 10:00
The Endless
78

Col qui presente “The Endless”, uscito il mese scorso, gli americani Dreadnought raggiungono il notevole traguardo di cinque album pubblicati in meno di un decennio. La materia prima del quartetto d’oltreoceano è costituita da un progressive metal sinuoso e ammaliante caratterizzato da atmosfere dilatate, ora sornione, ora malinconiche e rarefatte: su questa base i nostri subentrano con elementi presi da generi come jazz, doom, black e rock. Il risultato è una musica multiforme che si dimostra elegante e decisamente evocativa e cela, dietro la sua apparente indolenza, una tensione costante e pronta ad esplodere, ben rappresentata dalla copertina dell’album: un paesaggio desolato, onirico, infernale, dominato da un colossale portale fiammeggiante. Il gruppo, sorretto da un concept lirico riguardante le conseguenze delle scelte di ogni essere umano, perso tra aspirazioni e disillusione, tesse melodie languide, dall’ampio respiro e dal retrogusto meditativo, quasi ambient, giocando con arpeggi rilassati e percussioni appena accennate per poi lanciarsi in vortici sonori che profumano di black metal. Il vero punto luce del lavoro, però, è costituito dall’ottima prestazione della coppia di voci che fanno bella mostra di sé durante la quarantina di minuti che compone “The Endless”. Kelly e Lauren comprendono il loro ruolo nell’economia del gruppo e non si pestano mai i piedi a vicenda ma si cercano, si fondono, si sostengono, concedendosi vicendevolmente lo spazio per veicolare un messaggio di sperimentazione sonora continua, tra vocalizzi eterei e suadenti, quasi rituali, da una parte ed urla belluine dall’altra.

La partenza di “Worlds Break” è sintomatica: voce suadente, arpeggio languido e qualche sporadico riverbero minaccioso e il gioco è fatto; il passo successivo deve solo introdurre un piano morbido e le percussioni e la canzone può entrare nel vivo, guidando l’ascoltatore all’esplosione di violenza che introduce la seconda voce. La canzone acquista corpo senza dimenticare la sua anima delicata e malinconica, sviluppandosi in un continuo moto ondoso fatto di alti e bassi emotivi fino al climax finale che si screzia di un pathos più drammatico e robusto per cedere infine il passo a “Midnight Moon”. Le coordinate stilistiche sono grossomodo le stesse, col quartetto che dipinge paesaggi desolati grazie a melodie sinuose, notturne, che beneficiano dell’intreccio delle voci che si mantengono pulite fino all’improvviso indurimento della proposta, quando la tensione caricata esplode in passaggi più ferali. Elementi elettronici fanno capolino nella materia sonora del gruppo, che profuma la traccia rielaborando in chiave contemporanea elementi settantiani prima di tornare al languore che l’aveva aperta. La title track torna ad abbassare i ritmi, serpeggiando inquieta su melodie desolate coronate da voci che si innalzano come un’invocazione di aiuto. La ripartenza a metà del pezzo si profuma di esotismo, introducendo melodie quasi caraibiche e dal retrogusto crepuscolare che, però, devono cedere il passo dinnanzi all’inasprimento che occupa l’ultimo terzo, con la disperazione che torna ad essere padrona indiscussa della scena. “Liminal Veil” impatta con fare più agile, snocciolando la sua anima più tipicamente progressive senza, però, perdere il contatto con le atmosfere plumbee ed apocalittiche che hanno dominato l’album finora. La musica torna a farsi ribollente, inquieta, tesa, angosciante, giocando con gli stati emotivi grazie a rapide pennellate sonore che le donano di volta in volta riverberi disperati, speranzosi, furenti e disillusi e confezionando, così, uno degli apici emotivi del lavoro. La partenza della successiva “Gears of Violent Endurance”, da cui è stato tratto un video, impenna il tasso di aggressività dei nostri, che attingono dal black metal per tingere il pezzo di atmosfere gelide e burrascose. La violenza sonora viene spezzata da passaggi più introspettivi che procedendo col minutaggio si fanno sempre più imperiosi, donando alla traccia un profumo solenne che si perde in una chiusura sempre più carezzevole. Chiude le danze “The Paradigm Mirror”, introdotta da un arpeggio dimesso e rilassato cui segue una voce sussurrante. Il brano prende corpo con molta calma, mantenendo ritmi blandi e dal vago retrogusto sensuale anche nella sua seconda parte, più improntata alla ricerca di una grandeur drammatica che sfuma, infine, in uno scampanellio onirico che sembra annunciare la fine del sogno.

The Endless” è proprio un bel lavoro: i Dreadnought confezionano un’opera matura e dal tiro concentrato e cangiante, sfruttando i propri punti di forza senza strafare ma presentando un album elegante e coeso, ottimamente bilanciato e decisamente affascinante.

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Band: Dreadnought
Genere: Black  Progressive 
Anno: 2022
78