Recensione: The Fiction Maze

Di Roberto Gelmi - 11 Agosto 2014 - 13:50
The Fiction Maze
Band: Persuader
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2014
Nazione:
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75

Aspettate trepidamente il fatidico decimo album in studio dei Blind Guardian? Amate i Savage Circus, o meglio, la voce (in)confondibile di Jens Carlsson? Ma soprattutto, non potete fare a meno di una sana dose di metal potente e senza troppi fronzoli nel pieno della depressione estiva? Beh, allora fa per voi l’ultima fatica degli svedesi Persuader, fautori di un power metal venato di thrash.
Chi vorrà immergersi nel labirinto della finzione, tra le spire serpigne disegnate dal solito Felipe Machado Franco, è bene che si prepari a un sicuro urto sonoro.

Da tempo non si sentiva un opener tellurica e ficcante come “One Lifetime”: incedere potente in piena tradizione Blind Guardian (ma con una maggiore pesantezza e accordature più basse), bridge e refrain vincenti, lungo un minutaggio senza pleonasmi. L’album promette davvero bene.
War” ha uno sviluppo più aggressivo (inevitabile, visto il titolo così “irenico”), ma è un brano meno riuscito del precedente; si resta, comunque, su livelli gasanti. Un minimo d’eclettismo, con intro à la “The Bard’s Song”, invece, per la title-track, che poi prosegue sostenutissima, con testi impregnati di cattiveria («I hear the master in my mind / Are you the hellbound one / The demon of mine»). Epicità e metallo fuso, un’accoppiata vincente.
Il suono viscerale delle chitarre droppate, dopo la breve introduzione fatata di “Deep in the Dark”, ci ricorda che stiamo ascoltando i Persuader, non i Sonata Arctica. Così “InSect” si segnala per una buona rullata d’apertura e per la nuova presenza (dopo quella del 2006) del chitarrista ex-Nocturnal Rites, Nils Norberg (fratello maggiore di Emil, in forze ai Persuader dal 2001). Il drumwork è sempre chirurgico e al limite del death, l’assolo della 6-corde dell’ospite originale, ma non strepitoso; decisamente azzeccati, invece, gl’inserti di tastiera.
Fin qui il disco si mantiene coeso e potente, tuttavia si nota una certa ripetitività nelle soluzioni compositive e nei testi. Ne è la conferma la successiva “Son of Sodom”, che presenta alcune venature araboidi, che non bastano per risollevare le sorti del platter in quanto a longevità. Forte scorre sempre l’afflato evocativo di certi brani storici dei Blind Guardian, ma questo non è sufficiente per gridare al capolavoro. Le liriche sono l’ennesimo grido di dolore («You bleed, you scream, anything would do / The pain alone is a price for your redemption») e il finale tremendo: «Pledge to no guardian, let blood seal their fate / Mankind created this thing you call sin».

Sent to the Grave” vive di qualche scream nella prima strofa e di terzinati sapidi, nel ritrarre l’inizio della dannazione di un essere profondamente malvagio («Burn the bridges, fuel the flames / I dedicate my life to this»). Toni più easy-listening per la successiva “Heathen”, tra i migliori brani del lotto, con una prima strofa senza chitarre e poi un ritornello strepitoso («Dark heathen once more / But nothing remains the same») dall’afflato pagano, degno del film Valhalla Rising, opera del danese N. W. Refn. Curiosi e un filo fuori luogo gli accenti di tastiera, inseriti qua e là, si potevano benissimo tralasciare.
Per uno scorcio d’album in grande stile, “Dagon Rising” (con riferimento al dio padre di Baal) è un introduzione più che maestosa e organica alla terremotante “Worlds collide”, che attacca come l’ottima “Chemical Insomnia” degli Epica. Il pezzo degli svedesi è un inno di guerra: «Faced the war on the highlands / Only misery is left to me». Non fosse per i toni a tratti davvero cupi («Rise to destroy») potrebbe essere un pezzo targato Sabaton. L’ultima immagine è ferale: «With a vision of death by my side / My screams fade away».
Non è la morte, tuttavia, a chiudere il full-length: ci aspetta, infatti, il brano d’epilogo, “Falling Faster”, con qualche blast beat in apertura e poi controcanti, presi pari pari dai bardi di Krefeld. Un inno nero che chiude un disco inossidabile: «When the sun and the moon realign / Unholy alliance / From dusk til dawn / My apprentice you’re sworn / By my side, relentlessly torn from inside».

The Fiction Maze” è un album forgiato nella fucina del metallo appagante, ma non originale. A pareggiare in parte la monotonia tematica (musica-testi), ci pensa una produzione ottimale che crea un sound saturo e avvolgente.

I Persuader si ripropongono, per gli amanti del power lato sensu, come la giusta via di mezzo tra i Savage Circus (troppo derivativi) e i defunti Dark Empire (troppo estremi). Gli assoli di chitarra non puntano su velocità e tecnica esasperanti, ma si focalizzano su abbellimenti icastici, come insegna il dettato del grande André Olbrich.

Un’ultima parola, infine, circa Jens Carlsson, sosia musicale dell’Hansi Kürsch dei bei tempi. Carlsson è un cantante trascinante e dotato di carisma invidiabile, ma in questo caso non si propone su registri meno tirati e più narrativi: non a caso l’album (lungo ben cinquanta minuti), purtroppo, è privo di ballad. Carlsson potrebbe fare molto meglio, se valorizzato maggiormente.
E qui sta la differenza tra gli scandinavi e i Blind Guardian: non basta la furia, serve anche la classe.

 

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

 

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