Recensione: The Fire Cult Beyond Eternity

Di Manuele Marconi - 25 Ottobre 2020 - 0:32
The Fire Cult Beyond Eternity
Band: Onirik
Genere: Black 
Anno: 2020
Nazione:
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75

La terra lusitana di questi tempi giunge alle cronache in particolar modo per allenatori, calciatori più o meno simpatici, più o meno validi, ma sicuramente personaggi che fanno parlare di sé e del proprio lavoro.

Ma lo spicchio dell’Iberia che si affaccia sull’oceano non ha dato vita solo a star del pallone e spedizioni di conquista intercontinentali, bensì è anche la terra natìa di Gonius Rex, unico membro della band Onirik. Progetto prolifico quello del portoghese, che ha dato alla luce il quinto album della propria discografia in questo funesto 2020.

Si può dire che questo lavoro faccia in parte arrabbiare, perché rappresenta in qualche modo un’occasione persa. La qualità si mantiene in effetti su buoni livelli per tutti i 46 minuti di ascolto senza scivoloni o cadute di stile, anzi proponendo idee piacevoli ed interessanti. Il disco dà il meglio di sé nella prima parte: “Trapped in Flesh, Blood and Dirt” presenta un riffing dissonante e malato molto ficcante, che si evolve bene durante il brano, a testimonianza della buona dinamica che lo caratterizza. “Melodies of Reflection and Praise” risulta una composizione buona, sicuramente ispirata e molto completa: tutti gli strumenti partecipano attivamente al percorso del brano, chiuso con un buon solo di chitarra che però pian piano si spegne verso la sua conclusione in modo un po’ disordinato; niente drammi ma si poteva fare meglio. Particolare sorpresa è stata “Granted the Vision, Molded into Stone”, che inizialmente dà l’idea di essere il classico episodio compassato (a tratti un po’ anonimo) finché non esplode con un tiro veramente azzeccato.

Si parlava all’inizio della nostra disamina di occasione persa, e questo è dovuto fondamentalmente ad un fattore: la produzione. La tipologia di registrazione scelta penalizza tantissimo ogni traccia: essa risulta eccessivamente flat, con suoni troppo secchi e puliti al punto da essere spogli, oltre ad una spiccata propensione ad accentuare i toni alti.Tali problematiche tolgono totalmente atmosfera ed è un peccato, perché le linee di basso sono ispirate, come in generale tutto il quadro compositivo, che avrebbe davvero giovato moltissimo di una produzione più cupa e grassa.

Questo impedisce a “Cult Beyond Eternity” di fare il salto di qualità, relegandolo a lavoro di valore, ma non eccelso. In generale Onirik non lascia a bocca aperta, ma stuzzica l’ascoltatore, poiché le soluzioni trovate dall’artista non sono banali, al netto di una produzione inadeguata allo stile espresso dall’artista.

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