Recensione: The Formation Of Damnation

Di Federico Mahmoud - 6 Maggio 2008 - 0:00
The Formation Of Damnation
Band: Testament
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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75

Oakland, 1999. Un missile terra-aria piomba dai cieli della California e scardina senza pietà le fondamenta di una scena fin troppo sopita, corrotta, profanata dall’incubo degli anni Novanta. È The Gathering, l’adunanza della vecchia guardia: Dave Lombardo, Steve Di Giorgio, James Murphy e naturalmente i padroni di casa, inseparabili. Eric Peterson e Chuck Billy, unici superstiti di una formazione che, all’indomani del controverso The Ritual, ha perso pezzi e reputazione. I soli a tirare la carretta in tempi di magra, a caccia di label che sbattono sistematicamente la porta in faccia. Può essere l’anno della rinascita, artistica e morale, invece è l’anticamera del silenzio forzato. Prima lo spettro del cancro, il ricovero del gigante indiano che lotta con tutte le forze, una lunga riabilitazione tra ordinarie terapie e valzer di sciamani; poi l’infortunio a Eric Peterson, l’estenuante sequela di defezioni – si è perso il conto dei batteristi – e una manciata di side-project che rubano tempo ed energie. In mezzo, quasi un miraggio, spicca First Strike Still Deadly: prove generali di reunion.

L’annuncio allo scoccare del 2005: Billy, Peterson, Skolnick, Christian, Clemente. Di nuovo insieme. Il piano originario prevede un mini-tour celebrativo nel vecchio continente, ma gli influssi benefici della rimpatriata (nonché il rinnovato interesse dei discografici) cancellano antichi dissapori e spalancano i cancelli di un nuovo corso.
 
Ci siamo, finalmente. Lo hanno rimandato, posticipato, annunciato e poi disdetto, ma alla fine ce l’ha fatta: The Formation of Damnation è nei negozi. Il ritardo ha creato un’attesa spasmodica, incoraggiata dal ricordo ancora vivo dell’eccellente predecessore e, naturalmente, dal ritorno all’ovile di Greg Christian e Alex Skolnick; solo Louie Clemente, ai margini del music business dal ’93, ha declinato l’offerta. Come insegnano precedenti illustri, il peso delle aspettative rischia di condizionare il giudizio del prodotto: c’è chi, galvanizzato dalla rentrée dei propri beniamini, griderà al capolavoro e chi, al contrario, accoglierà tiepidamente un disco tutto sommato prevedibile. La verità probabilmente sta nel mezzo. Il nono sigillo in casa Testament è un album dignitoso, che impegna la band in un credibile riepilogo della propria carriera; mestiere ed esperienza si rincorrono nelle numerose citazioni che, senza esclusione di colpi, tappezzano i dieci nuovi brani, confezionando un’opera auto-referenziale ma capace di reggersi sulle proprie gambe. Si è preferito andare sul sicuro, giocando tra le mura casalinghe (ricordate i Judas Priest del celebrativo Angel of Retribution?) e i risultati premiano un gruppo di cui, francamente, si sentiva la mancanza.

Rivedere all’opera una delle formazioni più titolate della Bay Area vale, di per sé, il prezzo del biglietto. La prima conferma viene da Chuck Billy: abbandonato il piglio gutturale delle ultime uscite, il corpulento frontman torna all’antico, azzannando il microfono come ai bei tempi; resiste, pur sporadicamente, l’inopportuno ricorso a growl e filtri vocali (The Formation of Damnation), ma la prestazione è nel complesso ineccepibile. In grande spolvero la coppia PetersonSkolnick, con il primo a macinare la consueta dose di riff assassini (Henchman Ride) e il figliol prodigo ispirato autore di saggi chitarristici. Ascoltate e godete di More Than Meets The Eye, c’è il marchio del fuoriclasse. Bene, anzi benissimo la sezione ritmica, a partire da Paul Bostaph: unica novità in line-up (peraltro già ascoltato quindici anni fa, su Return To The Apocalyptic City), l’ex di Forbidden, Slayer ed Exodus timbra il cartellino con la proverbiale furia esecutiva, rivelandosi ideale punto di riferimento per i compagni. Un innesto azzeccato, di grande affidabilità.

La velocità di crociera si mantiene su livelli intermedi, richiamando alla mente le dinamiche di Practice What You Preach e Souls of Black; dai suddetti dischi è recuperata quella vena melodica che, complice la defezione di Skolnick, era andata perduta negli ultimi anni. Aprono le ostilità due mid-tempo, More Than Meets The Eye e l’altrettanto orecchiabile The Evil Has Landed: decisione insolita ma fino a un certo punto, perché già in passato ha dato i suoi frutti. Chi si preparava al terrorismo acustico (alla D.N.R., per intenderci) dovrà solo rimandare l’appuntamento con l’otorino. La title-track, a metà strada tra The Gathering e i primordi del gruppo, restituisce i Testament migliori: quelli dal riffing esagitato, dinamitardo, che non fa prigionieri. È un esame superato da tutta la band perché, al di là del singolo brano, emerge una condizione invidiabile. Più avanti The Persecuted Won’t Forget è ancora meglio e, con la successiva Henchman Ride (granitica e catchy al punto giusto), si candida a indiscussa hit del lavoro. Killing Season (decisamente Low-oriented) è il primo campanello d’allarme: l’impressione è che il songwriting, boccheggiante, abbia già sparato le sue cartucce migliori. Sentore che trova riscontro nel palpabile calo finale, con l’ordinaria amministrazione di F.E.A.R. e Leave Me Forever; persino Afterlife, pur dotata di un refrain coinvolgente, tradisce una certa ripetitività di fondo.

Nulla da eccepire all’operato di Andy Sneap, produttore di grido i cui meriti professionali, indiscussi, viaggiano di pari passo con una tendenza fastidiosa: quella di omologare nei suoni tutte le band avute in consegna. Questa volta si può tirare un sospiro di sollievo, perché il trademark Testament è uscito indenne dai Backstage Studios. Duro come la roccia.

Molti, compreso il sottoscritto, solleticati dalla lunga assenza fantasticavano capolavori inenarrabili, quasi idealizzando i Testament a salvatori della patria. Così non è stato, ma va dato atto al gruppo di essersi ripresentato con merito in una scena che non fa sconti a nessuno. Dopo tante battaglie e dannati scherzi del destino, un po’ di silenzio: parla la musica.

Bentornati.

Federico Mahmoud

Tracklist:
01 For The Glory Of
02 More Than Meets The Eye
03 The Evil Has Landed
04 The Formation Of Damnation
05 Dangers Of The Faithless
06 The Persecuted Won’t Forget
07 Henchman Ride
08 Killing Season
09 Afterlife
10 F.E.A.R.
11 Leave Me Forever

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