Recensione: The Future Again

Di Stefano Burini - 21 Agosto 2012 - 0:00
The Future Again
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Genere:
Anno: 2012
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63

A Hero A Fake, un nome che a molti non dirà nulla e dietro il quale si cela un altro (l’ennesimo, diranno non a torto, gli stessi ‘molti’ di cui sopra) gruppo classificabile nella corrente metalcore. Ma come si collocano e, soprattutto, cosa hanno da dire, all’interno di questo sottogenere metal divenuto ormai popolarissimo?

Sicuramente, data la giovane età (trattasi di una band formata nel 2005 e giunta al debutto discografico con Victory Records nel 2008), non fanno parte né del novero dei precursori, costituito da gente come i 36 Crazyfists o i  Caliban, che suonavano una sorta di mix di hardcore e melodic death svedese già verso la fine dei 90’s, né dei gruppi che hanno portato il metalcore ad essere un genere “di massa” qualche anno più tardi (Killswitch Engage, Avenged Sevenfold, Trivium, Shadows Fall e As I Lay Dying tanto per fare qualche nome). Ci troviamo piuttosto di fronte ad uno di quei gruppi che hanno costituito la seconda ondata, quelli giunti quando più o meno tutto quello che di “nuovo” c’era da dire era già stato detto e che hanno provato ad accodarsi al carrozzone.

Tali e tanti gli emuli e i concorrenti, complice anche la rete, nel 2012, da rendere pressoché obbligatorio, per le band che non vogliano finire nel dimenticatoio entro cinque secondi netti, avere un qualche elemento distintivo da aggiungere ad una ricetta ormai collaudata. Gli A Hero A Fake ci provano, magari non centrano sempre il bersaglio, ma in almeno metà delle canzoni presenti nella tracklist del nuovissimo “The Future Again” ci sono degli elementi interessanti su cui riflettere e da cui (ri)-partire. Il djent esce allo scoperto in più d’un occasione (“Dead And Done”, “Wasted Miles”) e anche il growling di Justin Brown sta a metà tra quello di Spencer Sotelo e quello più marcio e abrasivo di Brock Lindow. I riff sono serratissimi e i suoni più scabri e meno iperprodotti di quanto sarebbe lecito aspettarsi; l’aggressività è tanta, i ritornelli melodici pure ma non tutti hanno dalla loro la qualità tipica dei gruppi più blasonati (l’ultimo Shadows Fall, dalla front cover peraltro decisamente similare, ha parecchio da insegnare in merito) né la ricercatezza delle soluzioni adottate da gruppi come i Protest The Hero o i Periphery. Un altro punto debole del quintetto di Charlotte risiede nella gestione degli inserti elettronici, talora efficacemente inglobati in un tessuto sonoro sintetico e futurista, altre volte appiccicati in maniera posticcia, senza riuscire a creare un tutt’uno in grado di lasciare il segno.

Le canzoni, come anticipato si dividono in due categorie: da un lato quelle convincenti, organiche e con tutti i sapori ben dosati e al loro posto, dall’altra quelle in cui la mistura degli ingredienti ha creato dei grumi. Dell’ ultimo gruppo fanno certamente parte l’opener, “Mechanical Heart”, con il suo goffo amalgama di metalcore ed elettronica e le bizzarre chitarre che doppiano un ritornello melodico poco riuscito che vorrebbe forse fare il verso agli Avenged Sevenfold, senza tuttavia riuscirci, oppure “I Have A Knife” anch’essa penalizzata da un guitar work poco convincente. Nella prima categoria possono viceversa rientrare l’ottima ”Dead And Done”, con il suo attacco degno dei Periphery più incazzati, la successiva e violentissima “Port Hole” e, ancora, “Wild Fires”, una sorta di una riedizione di “Mechanical Heart” in cui i medesimi ingredienti forniscono un risultato decisamente più bilanciato e di gran lunga più riuscito. Si fanno apprezzare anche “The Constant”, veloce e rabbiosa, con dei cori prima maschili tutti sbilenchi e poi femminili doppiati dal latrato di Justin, la brevissima e furiosa “Wasted Miles”, dal refrain a presa rapida, e la conclusiva “Princess Of The Sun”, tra le più particolari ed interessanti dal punto di vista dello sviluppo e delle melodie, per quanto ancora suscettibile di miglioramento.

Miglioramento: è tutta racchiusa all’interno di quelle tredici lettere l’essenza di “The Future Again”. i ragazzi di Charlotte si applicano e a tratti trovano soluzioni ragguardevoli seppure non del tutto originali, riuscendo ad issarsi una spanna al di sopra di molti dei troppi gruppi clone che infestano la scena, pur in (per ora) evidente mancanza di numeri “da campioni” e di un trademark tangibile che permetta ad ogni singolo pezzo di emergere e distinguersi da quanto sfornato dalla concorrenza.

Stefano Burini

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Line Up

Justin Brown:   Voce

Eric Morgan:   Chitarra

Patrick Jeffers:   Chitarra

Chris Rosser:   Basso

Evan Kirkley:   Batteria

Tracklist

01. Mechanical Heart   02:33

02. Dead And Done   03:33

03. Port Hole   03:20

04. Wild Fires   04:02

05. The Constant   04:02

06. Wasted Miles   02:38

07. I Have A Knife   03:22

08. Princess Of The Sun   04:19

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