Recensione: The Lighthouse

Di Daniele D'Adamo - 21 Giugno 2021 - 0:00
The Lighthouse
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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78

Gli Eye Of Purgatory sono l’ennesimo progetto dell’incredibilmente prolifico musicista svedese Rogga Johansson, fra i quali si possono annoverare, fra i più noti, Dead Sun, Johansson & Speckmann, Megascavenger, Paganizer, Putrevore, Revolting, Ribspreader, Those Who Bring The Torture.

Una sequenza impressionante, a dire il vero composta da elementi piuttosto simili, difficili da discernere gli ultimi dagli altri. Come dire, estremizzando il concetto, quasi uguali fra loro.

Con “The Lighthouse”, secondo full-length in carriera, i Nostri tentano di infilarsi in un filone a essi poco conosciuto, forse. Il melodic death metal. Certo, il sound parte da quello tipico di Rogga, e cioè abbarbicato alla vecchia scuola, ma stavolta la ricerca di passaggi accattivanti per la loro armoniosità è probabilmente l’idea principale che muove i passi del terzetto nordeuropeo.

Riff aggressivi che fanno l’occhiolino alla famigerata zanzarosità, questo deve essere chiaro, purtuttavia massicci, potenti; ricchi di varietà nella loro sequenza temporale sì da dare al riffing una fluidità e scioltezza tutta da godere. Davvero un buon lavoro alla chitarra, quello di Johansson che, nondimeno, si mostra leggermente meno efficace alla voce, un po’ troppo impostata su cliché che si conoscono ormai a memoria; figli di un growling non particolarmente pronunciato ma assai stentoreo. Come quello degli inizi, tanto per cambiare.

Oltre alla bontà del rifferama, si può segnalare una presenza importante: quella delle tastiere, manipolate da Taylor Nordberg, anche chitarrista e batterista. A tal proposito, in tal caso dal tocco pesante, preciso e deciso nel proporre ritmi che s’assestano, spesso, su devastanti up-tempo. Chiude il triangolo il basso di Jeramie Kling, parimenti impeccabile nel rombare in sottofondo come un temporale in lontananza.

Del resto, dal punto tecnico, non c’è nulla da obiettare e no c’era altro da aspettarsi, trattandosi di polistrumentisti professionali, dalla lunga esperienza in materia.

Detto ciò, la sorpresa: gli Eye Of Purgatory hanno curato decisamente la fase di scrittura, mirando a dar vita a canzoni… canzoni in tutto e per tutto. Sebbene esse non presentino particolarità strutturali tali da far gridare al miracolo, il loro incedere segue una linea artistica di tutto rispetto nel senso che, finalmente – almeno a parere di chi scrive – è qui che s’intravede il talento del buon Rogga. Finalmente, si direbbe, dopo l’accennata ridda di formazioni troppo simili fra loro.

No, qui c’è davvero del buono. Il combo di Gamleby mette sul piatto della bilancia nove brani davvero piacevoli da ascoltare e, in primis, tutti più che sufficientemente diversi l’uno dall’altro. In tal modo, si attiva la voglia di ripetere i passaggi e, quasi incredibilmente, song come la title-track si stampano sulla parte interna della scatola cranica per rimanervi a lungo. Non solo, l’LP ha un mood tutto suo. Stavolta sì, macchiato qua e là da pennellate di originalità; individuabili soprattutto nell’accoppiamento dei dettami del death metal classico con le tastiere, il cui tipico suono non si trova tutti i giorni, in giro. A parte questo, ragionando più in generale ci si tuffa in un umore indefinibile o, meglio, caleidoscopico. Un po’ di tristezza, un pizzico di depressione, una dose di allegria (sic!). ‘Pieces of a Fading World’, per esempio, è un signor brano, in cui si trovano assieme un po’ tutti i segni particolari più su menzionati per un melodic death metal di alto lignaggio. Cioè vario, eseguito irreprensibilmente, con strofe, ponti e ritornello che si stagliano in alto, sopra la media delle produzioni similari.

E così via…

Il rispetto per Rogga Johansson è già massimo di… default per via della sua incredibile abnegazione e fedeltà alla linea. Stavolta, però, è riuscito a mettere giù un disco che si può consigliare a tutti gli adepti del metal estremo ma non solo. Un’ottima riuscita, insomma, quella degli Eye Of Purgatory e del loro “The Lighthouse”.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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