Recensione: The Music That Will Heal The World

Di Matteo Donati - 28 Luglio 2007 - 0:00
The Music That Will Heal The World
Band: Twinspirits
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
58

Daniele Liverani e i suoi lavori sono piuttosto conosciuti in Italia: pianista e chitarrista di rimarchevole livello, approda con questo suo ultimo lavoro ad un’opera di stampo progressive. Noto ai più per i suoi precedenti “Genius- A rock opera” ed il progetto AOR con i Khymera, Liverani presenta un disco dal pretenziosissimo titolo “The Music That Will Heal The World”: la band riunita per la riuscita di tale progetto è composta dal promettente Tommy Ermolli, diciannovenne indubbiamente dotato la cui capacità esecutiva non stona nemmeno dinanzi a musicisti navigati come Liverani stesso. Al basso troviamo Alberto Rigoni che, dopo aver lavorato nella sua prima band “Ascra”, ed aver suonato in cover band dei Dream Theather, si è unito al progetto “Twinspirits” contribuendo alla composizione di alcuni brani dell’album. Le percussioni sono state affidate invece a Dario Riccioni, già noto per aver contribuito ad alcuni precedenti lavori di Liverani, col quale ha sovente suonato prima della formazione della band. La voce è forse l’aspetto più discutibile del disco: diverse parole infatti sono state spese nel sito ufficiale dei “Twinspirits” su quanto sia stata complessa e lunga la selezione di un vocalist adatto alla dimensione che il gruppo voleva plasmare. E’ con un certo orgoglio che Liverani presenta quindi  Søren Nico Adamsen, danese scelto per la sua versatilità e grinta, artista descritto come capace di spaziare da un cantato aggressivo al melodico senza fatica alcuna. Le perplessità dell’album partono esattamente da questa lungimirante pretesa, ovvero che Nico sia il cantante perfetto per il genere con cui  Liverani intendeva cimentarsi.

Dopo pochi ascolti dell’album vi potrà risultare facilmente sgradito il modo in cui il singer ostenta acuti  sofferti, futili tentativi di assurgere a diverse sonorità in stile “Angra” saranno solo le prime tra le comunanze che vedrete emergere nell’ascolto. Una traccia che esplicita la mancanza di sintonia tra il cantato e il resto dell’album forse è “Take my Hand”, dove l’esecuzione di tastiere, batteria e chitarra non sono sufficienti a livellare il tedio e la banalità di un riff mal pensato più che mal eseguito. E’ forse questo l’ingranaggio difettoso, più precisamente  vorrei sottolineare quanto segue: anche se le doti canore di Adamsen sono sicuramente degne di nota, risultano, a mio avviso, mal inserite nel contesto (in particolare le lyrics appaiono sovente come un elemento di secondo piano e il modo in cui vengono espletate crea una metodica distonia col resto della band). Altro esempio di questa separazione e mancanza di omogeneità è riscontrabile in “Power To Kill”, indubbiamente la traccia più ruvida ed aggressiva del disco. Anche in questo caso Adamsen tenta di imporre un cantato roco, sforzato e sofferto, col risultato far rimpiangere la banalità della traccia precedente (“Take my hand” appunto). Mentre ingenui e puerili cori gridano “KILL! KILL! KILL!” viene da domandarsi il perché in un disco con sofisticate pretese “progressive”, si faccia ricorso a incitazioni appartenenti a ben altri gruppi e generi.
Diversamente, brani come “Understand” sono solamente noiosi: qui vedremo infatti  Liverani eseguire pregevoli passaggi alla tastiera e duetti con batteria e chitarra ma sconfinare sfortunatamente nella sperimentazione volta unicamente a sé stessa. Inevitabilmente, dopo ben dieci minuti di questa traccia, i più concorderanno sulle doti esecutive di ogni membro ma  anche sulla scarsezza di questi nell’imprimere mordente alla tecnica.
Tale anonimato viene mantenuto in “Fire”, pezzo di cui faticherete a ricordare i riff anche dopo numerosi ascolti.
L’immancabile lento merita una nota a sé: si tratta infatti di un pezzo che, conoscendo alcuni lavori precedente di Liverani, non avrei accomunato al suo nome se non avessi lo avessi letto personalmente sul disco. “It’s just life” è infatti il brano più sotto tono dell’album, vede quasi totalmente assenti elementi progressive mentre il cantato raggiunge le sue vette negative: una nenia banale e cacofonica accompagna gli sparuti e insipidi argomenti di questa traccia. E’ lecito dunque cercare riscatto dunque nella Title track che conchiude l’album. Questa si articola in ben dodici minuti e trentanove secondi in cui non verrete stupiti da nessun reale elemento innovativo, semmai compiaciuti da alcune trovate melodiche e riprese di temi precedenti che tuttavia, ancora una volta, non convincono.
Inevitabilmente quando ci si trova dinanzi a tracce di così lunga durata in ambito progressive i rimandi a band come i Fates Warning e i Dream Theather  risultano naturali. Questa traccia, come forse l’album stesso, ha per me un carattere saggistico: un monito delle capacità esecutive dei componenti cui tuttavia non va il merito di aver creato un’amalgama musicale coesa e coerente con le premesse decantate.

Non definirei questo album come un buco nell’acqua e non escludo che i fan di Liverani lo possano trovare meritorio di acquisto, sento comunque il dovere di consigliare quest’opera unicamente dopo averla preventivamente ascoltata, azione fortunatamente possibile dal sito ufficiale della band.

Tracklist:
1. Projected
2. Back To Reality
3. What You Want
4. Take My Hand
5. Power To Kill
6. Understand
7. Fire
8. It’s Just Life
9. The Music That Will Heal The World

Line-up:
Søren Adamsen – Voce
Tommy Ermolli – Chitarra
Daniele Liverani – Tastiera
Alberto Rigoni – Basso
Dario Ciccioni – Batteria

Ultimi album di Twinspirits

Band: Twinspirits
Genere:
Anno: 2011
82