Recensione: The Order Of The Silver Compass

Di Matteo Orru - 7 Maggio 2019 - 22:05
The Order Of The Silver Compass
Band: Athanasia
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2019
Nazione:
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74

Un libro non va mai giudicato dalla copertina, in questo caso alquanto discutibile, quindi già al primo ascolto concesso a questo The Order Of The Silver Compass qualcosa faceva storcere il naso in quanto non si trattava assolutamente di un disco symphonic black metal come si poteva intuire dalla cover art ma di un qualcosa decisamente più complesso, al limite dell’inclassificabile; tant’è che il secondo ascolto fu praticamente immediato e da lì le domande classiche tipo: “ma chi Ca##o sono questi Athanasia?”.

In ordine cronologico il successivo step è un approfondimento biografico della band. Veniamo a conoscenza che si tratta di un power trio che prende il moniker Athanasia dal greco, ossia dalla personificazione dell’immortalità che nell’arte greca appare raffigurata in relazione al mito di Tideo. Americani di Los Angeles che si rifanno alla cultura greca è già confusionario di suo, se poi vedi che all’interno della formazione è presente l’esperto drummer Jason West, già tra le fila di Murderdolls e Wednesday 13 con il cantante e chitarrista Caleb Bingham, vecchia conoscenza all’interno ddei Five Finger Death Punch che venne licenziato poco prima di dare alle stampe il disco d’esordio The Way Of The Fist, la curiosità si infittisce a tal punto di capire in maniera famelica cosa ci possa essere dietro questo progetto.

Effettivamente questo LP rappresenta il debutto discografico a tutti gli effetti in quanto la band, attiva da qualche anno ormai, non aveva mai pubblicato EP o demo di sorta. Come un fulmine a ciel sereno questa nuova creatura ibrida dal nome Athanasia esordisce pertanto col botto senza lasciare prigionieri dopo un importante periodo di gestazione del progetto: “Sono molto orgoglioso di annunciare che dopo anni di sangue, sudore, lacrime e innumerevoli ore di duro lavoro, il disco d’esordio di ATHANASIA The Order of the Silver Compass è finalmente in procinto di vedere la luce del giorno”, affermava il frontman Caleb Bingham. “Mettilo a tutto volume nella tua macchina e vedrai come il tuo pedale dell’acceleratore toccherà in poco tempo il pavimento dell’auto!”

Entriamo però nello specifico facendo luce su cosa sia contenuto dietro questa oggettivamente brutta copertina. Si tratta di un dischetto di otto tracce per un totale di trentacinque minuti, il che ci fa presagire che si tratterà di un disco orientato soprattutto sull’immediatezza delle varie tracce per cercare di colpire l’ascoltatore subito ai fianchi per poi tramortirlo lungo la sua durata.

A conti fatti dopo svariati ascolti l’unica cosa che può essere sicura è che questi tre ragazzi hanno un bagaglio culturale musicale davvero degno di nota considerato il fatto che il genere proposto dai losangelini è un qualcosa che muta lungo tutta la durata del full lenght lasciando all’inizio perplesso l’ascoltatore sino a farlo diventare incredulo in certi episodi.

Siamo chiari, di metal si tratta, e pure bello pesante, zero spazio a robetta da ragazzini come suoni tastierosi e di synth che gran parte delle band inseriscono oggigiorno per assicurarsi una fetta di mercato più giovanile; qui si spazia in tutto ciò che di più becero ci possa essere ma tenendo conto sempre di una dose di melodia necessaria come condimento finale in questa poltiglia di metallo estremo.

Caleb Bingham e soci, visto e considerato le provenienze stilistiche differenti han voluto fare il punto seduti a un tavolo, han sputato tutte le loro esperienze e conoscenze in ambito metallico e ciò che ne è uscito fuori prende il nome di The Order Of The Silver Compass. L’intento dei californiani pertanto può essere definito come scrivere un disco dannatamente pesante che ha un ritmo che potrebbe far fare headbanging pure a uno zombie che cammina a 1 kmh con le braccia distese in avanti.

Riff rocciosi e granitici si muovono dapprima lentamente come pachidermi per poi diventare veloci e letali come fenici, le linee vocali hanno una logica tutta loro, impossibile da capire nei primi ascolti ma che trovano barlumi di comprensione solo dopo aver assimilato e fatto proprio il significato oscuro di questo disco; la batteria martella a dovere spaziando per territori familiari ai mid tempo agli up tempo ma senza mai eccedere in velocità lasciando spazio a un uso più tecnico e corposo delle pelli.

Come accade in cucina, la troppa carne al fuoco rischia di bruciarsi, ma i Nostri sono bravi cuochi attenti alla cottura delle bistecche e non solo; riescono a mescolare con dedizione e disinvoltura i vari ingredienti di condimento per fornire ai clienti un piatto succulento da accompagnare a ettolitri di birra gelata.

Il platter è un condensato di metallo estremo che prende spunto a piene mani da una base effettivamente thrash moderna (alcune soluzioni possono ricordare i Nevermore di sfuggita) passando per il black metal più raffinato ed accessibile, sino ad addentrarsi in territori più consoni al death melodico o al classic metal strizzando l’occhio al più canonico alternative metal che tanto piace ai nostri amici stelle e strisce.

Detta così crediamo che possa creare una confusione ancora maggiore di quella che si prova ai primi ascolti ma basta schiacciare play per addentrarsi nel mondo caotico degli Athanasia e capire quali sono le coordinate del loro viaggio.

Read Between The Lines, prima delle otto tracce ci accoglie con un intro arpeggiato di ottantiana memoria che vagamente può ricordare gli Annihilator più datati ma che a stento riesce a decollare risultando essere la traccia meno efficace di tutto il lotto, complice anche il suo incalzare decisamente non coinvolgente.

Con Spoils of War gli Athanasia iniziano a modellare la loro proposta e insieme alla successiva title track può essere definita come ciò che la band vuole suonare, soprattutto con la traccia numero tre, un autentico mix di riff thrash, linee vocali delle strofe con canoniche harsh vocals prettamente black per poi sfociare nel ritornello arioso, melodico condito dalle belle voci pulite anche se un tantino troppo filtrate ma che riescono dannatamente a rimanere in testa già al primo ascolto.

L’immediatezza melodica, a discapito del riffing caotico e imbizzarrito è di sicuro una delle peculiarità di questa band che, nonostante le tantissime influenze apportate a ogni singola composizione, fa si che ogni traccia abbia una struttura alquanto canonica come forma usando uno schema tipico e ben noto al metal di  matrice più classica con intro, strofa ritornello moltiplicato due, assolo e ritornello in finale con in mezzo qualche variante magari arpeggiata o atmosferica per deliziare i nostri palati esigenti.

Cyclops Lord tocca l’apice compositivo grazie a un incedere micidiale; epica e solenne si trasforma  in una vera e propria thrashy song grazie anche al ritornello anthemico e corale senza contare gli svariati cambi di tempo che danno ancora più profondità e dinamicità al brano che sfocia nella lunga introduzione di The Bohemian, altro tocco di classe del power trio dove pure i questo caso i cambi di tempo fanno da padrone e le clean vocals di Caleb danno il valore aggiunto.

Mechanized Assault può essere definita come il punto di fusione di tutta la proposta del mondo Athanasia, un inizio oscuro e teatrale pacchianamente black metal moderno dove il guitar solo, nella seconda parte della traccia tocca i lidi più disperati strizzando l’occhio pure a venature thrash progressive.

Il finale del disco è affidato alla power ballad che risulta una piacevole sorpresa mettendo in mostra il lato più ragionato della band ma nulla aggiunge alla mezz’ora precedente.

Il disco, che ha suoni spiccatamente modernisti, spaziando dal freddo tagliente al calore più intimo, è stato prodotto dall’esperto Chris Collier (Prong, Flotsam & Jetsam, Metal Church) e masterizzato da Joe Bozzi (Mastadon, LA Guns), mentre Jorden Haley (Dååth, Deicide) ha gestito il copertina arte e design. Questo sottolinea l’impronta estrema che sta alla base del disco con la sua innegabile duttilità e derivazione che fa capolino su una vastità incredibile di generi. Tuttavia in alcuni momenti non soddisfa appieno per via dell’eccessiva artificialità dei suoni che hanno spesso e volentieri una tendenza troppo moderna risultando anche eccessivamente sporchi, soprattutto la chitarra mentre la batteria in più episodi sembra quasi una drum machine.

Possiamo dire che comunque si tratta di particolari superabili vista la qualità del prodotto offerto dagli Athanasia che, grazie alla loro esperienza pregressa, sono riusciti a confezionare un album di debutto assolutamente piacevole con picchi qualitativi davvero elevati come nella title track e nella seguente Cyclops Lord, che cresce col passare degli ascolti.

Gli Athanasia contengono all’interno un potenziale incredibile grazie anche al profilo tecnico dei singoli membri della band e la loro esperienza nel music business e pure alla capacità di unire in un’unica composizione soluzioni che richiamano i classici cori da stadio anthemici a bordate più estremiste con una semplicità disarmante, facendo si che il disco possa essere un punto di incontro tra le nuove generazioni che si avvicinano alla musica più dura solo adesso e chi ha qualche anno in più e mangia metallo a colazione da anni e anni.

Un disco per tutti che pone delle buone basi sulle quali iniziare un percorso, si spera, longevo e che si consiglia essere più mirato in quanto se da una parte le più svariate influenze possono generare una novità, dall’altra eccedere può creare solo una grande confusione.

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