Recensione: The Principle of Evil Made Flesh

Di Alessandro Calvi - 10 Luglio 2003 - 0:00
The Principle of Evil Made Flesh
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Anno: 1994
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90

The Principle of Evil Made Flesh, è con questo titolo, un titolo che parla proprio di inizi, che comincia la storia discografica di una delle band più particolari, innovative e discusse del panorama metal: i Cradle of Filth.

Dagli inizi a quello che sono oggi diventati i Cradle of Filth ne è passata di acqua sotto i ponti, il gruppo ha cambiato dei musicisti, diverse etichette discografiche e anche lo stile della band si è modificato con il passare del tempo. Benchè una certa impronta caratteristica, poi copiata da decine di altre band, fosse presente da subito, mi riferisco in particolare allo scraming di Dani e alla struttura delle canzoni, questo è forse l’unico album della band che potrebbe essere veramente etichettato come black senza che i puristi storcano troppo il naso.
Lo stile allora ancora un po’ grezzo, non così elaborato e barocco come sarebbe diventato in seguito, il sapore delle canzoni e anche la produzione di qualità piuttosto scarsa, permettono l’etichettatura di questo “The Principle…” come un disco black, etichettatura in seguito destinata a cambiare in qualcosa di piuttosto imprecisato visto che nessun genere si adegua perfettamente e del tutto alla proposta musicale di questa band.

Ma passiamo a parlare delle canzoni che compongono questo album, delle tante canzoni aggiungerei io, visto che ne compaiono ben dodici e che nella loro diversità l’una dalle altre ci fanno capire qualcosa di più ancora sull’originalità di questa band.
L’album si apre con Darkness Our Bride (Jugular Wedding), già dal sottotitolo se non fosse bastata la copertina del disco, si capisce che i qui presenti Cradle of Filth hanno deciso di utilizzare il vampirismo come personale punto di riferimento e quale tematica per molte delle proprie canzoni e del proprio modo di presentarsi al pubblico. Questa traccia è solo un’intro di due minuti con parole sussurrate sottovoce e particolarmente d’atmosfera, ma l’utilizzo di simili intro strumentali sarebbe poi diventato un classico di tutti gli album successivi della band inglese.
Ad aprire l’album con la prima vera canzone è proprio la title track The Principle of Evil Made Flesh che ci presenta subito lo stile dei Cradle of Filth, momenti lenti accompagnati dagli archi a volte con una voce narrante femminile che farebbe la sua figura anche in un telefono erotico, e furiose ripartenze con batteria e chitarre come mitragliatori con sopra a tutto la voce al vetriolo di un Dani in splendida forma.
La terza song è poi un brano che ha fatto un po’ storia, The Forest Whispers my Name è una delle canzoni che personalmente ritengo più belle di questo primo album dei vampiri inglesi, pensiero forse non condiviso solo dal sottoscritto visto che questa song è l’unica dal primo album poi ripresa anche nel successivo mini cd V Empire (and other Dark Fairytales in Phallustiem).
Un’altra caratteristica dei Cradle of Filth che ne denomina una certa originalità è l’inserimento di varie intro strumentali all’interno del disco tra una canzone e l’altra, cosa che la maggior parte dei gruppi non fanno. Di solito si tratta di una intro all’inizio dell’album mentre le altre sono tutte canzoni, la band inglese invece struttura praticamente tutti i suoi dischi dal primo in poi come fossero dei concept album prendendosi quindi la libertà di inserire intro strumentali in ogni momento lo ritenga più opportuno con un conseguente e interessante aumento dell’atmosfera.
E’ questo il caso di brani come Iscariot, One Final Graven Kiss e In Secret Love We Drown disseminati in questo loro primo album.
Notevoli in questo album anche canzoni come A Crescendo of Passion Bleeding, uno dei brani più veloci e violenti concepiti dai Cradle of Filth in tutta la loro carriera, The Eve the Art of Witchcraft che oltre a una notevole atmosfera tratta temi biblici e ci fà capire, se ancora ce ne fosse bisogno, che il signor Dani Filth non è certo uno sprovveduto ne un ignorante ma una persona con una certa cultura mai usata a sproposito.
Of Mist and Midnight Skies poi ha un inizio suonato ad organo che tutte le volte che lo ascolto mi fa venire la pelle d’oca, benchè suonato in maniera un po’ particolare e più lenta del normale, si tratta della Toccata e Fuga in Re Minore di Bach, sulla quale si va poi a inserire il growl di Dani che introduce il resto della canzone. Il bello dell’inizio di questa song è che se uno non conosce Bach potrebbe giurare che il brano d’organo l’ha scritto la band, per come è perfettamente iscritto nel songwriting della canzone.

In conclusione uno dei punti più alti raggiunti dalla band inglese insieme a Dusk and Her Embrace che sono considerati un po’ da tutti come i loro capolavori. Consigliato a tutti i fans, un po’ meno a chi si accosta a questa band per la prima volta perchè si tratta forse del capitolo meno melodico della loro discografia e l’unico che potrebbe quasi fregiarsi di diritto dell’etichetta di disco black.
In generale un disco da avere che ha lanciato una band che nel bene o nel male, ha segnato il mondo del metal e ha creato anche una certa frattura tra chi li ama e chi li odia, sembra non esserci la via di mezzo, ma che soprattutto è stata promulgatrice di un nuovo tipo di sonorità poi imitato e seguito da molte altre.

Tracklist:
01 Darkness Our Bride (Jugular Wedding)
02 The Principle of Evil Made Flesh
03 The Forest Whispers my Name
04 Iscariot
05 The Black Goddess Rises
06 One Final Graven Kiss
07 A Crescendo of Passion Bleeding
08 To Eve the Art of Witchcraft
09 Of Mist and Midnight Skies
10 In Secret Love We Drown
11 A Dream of Wolves in the Snow
12 Summer Dying Fast

Alex “Engash-Krul” Calvi

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