Recensione: The Reckoning

Di Luca Recordati - 23 Maggio 2013 - 17:40
The Reckoning
Band: Mortal Form
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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65

Il terzo disco, per qualsiasi band, rappresenta la prova più importante, che segna il fallimento o il passaggio verso la notorietà; a volte però può capitare anche di essere solo etichettati come band di culto della scena underground. Questo tuttavia non è il caso dei Mortal Form, band olandese arrivata alla prova del nove con l’album “The Reckoning”, dopo un precedente disco abbastanza anonimo. Anche questo loro ultimo lavoro, ahimè, ricalca le orme del precedente “Taste The Blood”: un melodic thrash/death di matrice In Flames, Dark Tranquillity o Kreator. A proposito di questi ultimi, qui si sente fin troppo l’allusione all’ultima fatica di Mile Petrozza.

Andiamo con calma a elencare prima i difetti e poi i pregi: una produzione alquanto scialba che porta la batteria a confondersi con gli altri strumenti, come in “Storm Before The Calm” e “Radiation Breath”, poiché è registrata con un volume troppo basso e lasciato molto in profondità. Il mixaggio della batteria è il più delicato, perché è la colonna portante di tutto il disco e quindi, sbagliandolo c’è il rischio di ingarbugliare i suoni e di rendere piatto anche un buon songwriting. L’intro di batteria in “Forsaken Graves”, anche troppo lungo, è lo stratagemma per farla finalmente sentire. Anche il basso scompare nel caos di suoni. La voce inoltre è aggressiva ma piatta e uguale in tutte le canzoni. Un esempio può essere “As Nature Turns Evil”. Ci sono poi alcune canzoni che sembrano dei plagi (forse voluti per omaggiare i loro idoli?) spudorati. Basta ascoltare l’intro di “Apocalyptic Aftermath” perché venga subito in mente “My Heaven My Hell” dei Kreator. Ancora più evidente è il plagio dell’intro di “Radiation Breath” che assomiglia a “Victory Will Come” sempre dei Kreator. Inoltre l’introduttiva e parlata “The Reckoning” è fondamentalmente inutile, anche se annuncia i temi della canzone successiva, e tracce come “Miasma” e “Dungeon”, non riescono ad elevarsi dalla mediocrità.

Nonostante tutti i difetti riportati sopra, il sound è potente quanto basta e la copertina pur non essendo bellissima, si salva egregiamente. I punti di forza di questo album sono senz’altro le parti di chitarra, melodiche e non, che svettano su tutto, grazie anche ad un giusto mixaggio e bilanciamento tra il rimanere nascoste e l’uscire allo scoperto durante gli assoli, oltre che per le buone capacità delle due asce. Esempio in questo senso possono essere “Apocalyptic Aftermath”, “Storm Before The Calm” e “Sinner Repent”. Troppo poco per poter sconvolgere il metallaro più incallito, ma comunque abbastanza per guadagnarsi la sufficienza.

Consiglierei vivamente ai Mortal Form di ripartire dal sound e dal mixaggio ottenuto con le chitarre, che sono veramente ben registrate e lavorare di più sulla voce e sugli altri strumenti per fare un salto di qualità. Per il resto questo è un album che nonostante i gravi difetti è apprezzabile per la giusta potenza raggiunta tra le parti strumentali e la voce, anche se, ad onor del vero, non c’è una canzone che rimanga veramente in testa. Forse un ascolto più attento degli altri fautori di questo sottogenere potrebbe giovare ai giovani olandesi per avere qualche spunto in più oppure è proprio una questione di personalità?

Luca Recordati

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